Eluana, le tappe della vicenda

Il 18 gennaio del 1992, Eluana, all’epoca 20enne, rimane coinvolta in un incidente stradale. Ricoverata nell’ospedale di Lecco in stato vegetativo permanente, alimentata da un sondino nasogastrico, la ragazza sprofonda in uno stato di non-coscienza

Eluana, le tappe della vicenda

Roma - Con la decisione presa oggi dalla Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso della procura di Milano contro l’autorizzazione a sospendere l’alimentazione, sembra avviata ormai all’epilogo giudiziario la vicenda di Eluana Englaro. L’8 ottobre scorso, la Corte d’appello aveva deciso di non sospendere l’esecutività del decreto che autorizza lo "stop" alla vita artificiale della donna, penultimo capitolo, prima della pronuncia della Suprema Corte, in una lunga e complessa vicenda umana e giudiziaria cominciata quasi oltre 16 anni fa.

Il 18 gennaio del 1992, Eluana, all’epoca 20enne, rimane coinvolta in un incidente stradale. Ricoverata nell’ospedale di Lecco in stato vegetativo permanente, alimentata da un sondino nasogastrico, la ragazza sprofonda in uno stato di non-coscienza, a causa della corteccia cerebrale necrotizzata.

Dal 1997 il padre della ragazza, Beppino, diventa il suo tutore e comincia la lotta nei tribunali per essere autorizzato a sospendere l’idratazione e l’alimentazione artificiale alla figlia. La prima sentenza è del Tribunale di Lecco che, nel 1999, respinge la richiesta di fermare l’alimentazione.

Nel 2003, l’istanza viene ripresentata e di nuovo respinta dal Tribunale di Lecco prima e dalla Corte d’Appello di Milano poi. Stesso copione nel 2006.

Nell’aprile del 2005, anche la Cassazione boccia il ricorso di Beppino, ma il 16 ottobre del 2007, sempre la Suprema Corte rinvia la palla alla Corte d’Appello del capoluogo lombardo, sostenendo che il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare la sospensione in presenza di due circostanze: la condizione di stato vegetativo permanente irreversibile e l’accertamento, sulla base di elementi del vissuto del paziente, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il consenso alla prosecuzione delle cure.

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