Milano - Un’intera giornata per decidere che l’iter giudiziario andrà avanti. Senza che il Parlamento possa intervenire, se non con una nuova legge. Ieri, dopo una camera di consiglio «fiume», la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi di Camera e Senato con i quali si chiedeva l’annullamento delle sentenze della Cassazione e della corte d’Appello di Milano sull’interruzione del trattamento che tiene in vita Eluana Englaro, la donna in stato vegetativo permanente dal gennaio del 1992. Una variabile in meno lungo il percorso di Beppino Englaro, il padre, che sempre ieri aveva incassato il «non luogo a provvedere» dei giudici d’Appello del capoluogo lombardo, chiamati ad esprimersi sull’istanza presentata dalla Procura generale per sospendere l’esecutività della sentenza che autorizzava il curatore di Eluana a interrompere i trattamenti che la tengono in vita.
Nei ricorsi di Camera e Senato, i due rami del Parlamento sostenevano che l’autorità giudiziaria, con la sentenza della Cassazione dell’ottobre 2007 e con l’ordinanza d’Appello dello scorso luglio, aveva esercitato le attribuzioni proprie del potere legislativo o, comunque, interferito con tale potere, stabilendo termini e condizioni per l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale di Eluana. In altre parole, in mancanza di una legge sulla materia la magistratura avrebbe colmato il vuoto attraverso «un’attività - era scritto nel ricorso - che assume sostanzialmente i connotati di vera e propria attività di produzione normativa». Non così per i giudici costituzionali, che - pur non entrando nel merito del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - hanno ritenuto che non ci fossero i presupposti perché la causa potesse arrivare al vaglio della Consulta. E i motivi di questa decisione saranno noti solo quando l’ordinanza sarà depositata.
«Ha prevalso la ragione e adesso ho un ostacolo in meno. Diciamo che è il massimo». È una buona giornata per il signor Beppino. Che già in mattinata si era detto «soddisfatto» per il «non luogo a provvedere» decretato dalla corte d’Appello di Milano. «Tutto sta andando come doveva andare - aveva aggiunto - cioè nella giusta direzione. Ci sono princìpi di diritto molto chiari al fine di rispettare le persone». E, ancora una volta, davanti ai giudici aveva ripetuto di non voler procedere in assenza di un pronunciamento definitivo. «Anche a causa - la sferzata è del legale della famiglia Englaro, l’avvocato Vittorio Angiolini - dell’atteggiamento di rifiuto tenuto dalla Regione Lombardia». Poi, in serata, la notizia che arriva da Roma. Un altro impedimento cade. E per Angiolini si tratta di un provvedimento «molto importante dal punto di vista giuridico e ineccepibile», che «toglie finalmente dal campo della decisione, che attiene alla sfera dei diritti fondamentali, le ombre politiche che erano fuori luogo». Immediata, e inevitabile, la reazione della politica. Di «precedente inquietante» parla Luisa Capitanio Santolini (Udc). «Insinuare, seppur indirettamente, che i poteri dello Stato sanciti dalla Costituzione possano essere in qualche modo confusi e sovrapposti - continua la responsabile centrista per la Famiglia e le Politiche Sociali - non è un segnale positivo».
Per il vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato, Gaetano Quagliariello, «dalla Corte Costituzionale è arrivata una decisione pilatesca». Quindi, «da questa sera legiferare in Parlamento sulle problematiche legate alla fine della vita diventa ancora più urgente».
Toccherà ora alla Cassazione pronunciare l’ultima parola. L’11 novembre, infatti, la suprema Corte stabilirà in via definitiva se il signor Beppino potrà «liberare» - sono le sue parole - Eluana. Così come ha sempre chiesto. Secondo la legge.
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