Nella malafiction «Romanzo criminale», il Libanese confidava: «Io vojo quello che volemo tutti....che cosa? Roma». Trent’anni dopo la Banda della Magliana, gli eredi del boss Michele Senese, detto ’o pazzo, arringano i killer sull’asse Napoli-Roma: «Pijamose Roma, semo come la mafia». L’evoluzione della criminalità nella Città Eterna sta tutta in queste due frasi: la prima è fiction, la seconda è stata intercettata per davvero dai Ros (operazione Orfeo) durante un summit di malavita e torna nelle più recenti informative della polizia campana collegate alla lunga scia di sangue all’ombra del Colosseo.
E non è un caso che proprio l’altra mattina, nella clinica psichiatrica Sant’Alessandro di Roma dove si trovava ai domiciliari perché formalmente affetto da schizofrenia e disturbi della personalità, o’ pazzo è stato arrestato su input del sostituto procuratore generale Otello Lupacchini. Per il giudice che smantellò la Bandaccia, il buon Senese è un malato immaginario. Non c’è, ci fa. Un «grandissimo simulatore» dicono di lui i pentiti e i confidenti che stanno tratteggiando agli inquirenti il patto per la spartizione e il controllo delle piazze romane da trasformare in piccole Scampia. Un personaggio di spessore, Senese. Il solo capace di tenersi buoni tutti: malavitosi locali, calabresi, siciliani, albanesi, pugliesi. Non è riuscito nell’impresa il suo, Giuseppe «Ciccio» Molisso, in galera dal 28 novembre scorso insieme a una quarantina di sodali. Senese è trafficante vaccinato sin dai tempi in cui le batterie romane si confrontavano con Pippo Calò, referente di Cosa nostra.
In contatto con la mafia siciliana, colombiana e quella turca, ’o pazzo parla uno strano slang a metà tra il romanesco e il napoletano, perché è nato ai piedi del Vesuvio ma da trent’anni fa affari (illeciti) nella Capitale dove alla Squadra Mobile se lo ricordano in rapporti col cassiere della Magliana, Enrico Nicoletti. Ai suoi discepoli si rifà la «Nuova camorra romana», che si rifà alla «Nuova camorra organizzata» del boss Cutolo. E come don Raffaè, ’o pazzo vuole diventare l’ottavo re di Roma. Ma per riuscirci ha bisogno di due cose: tanti soldi e poca concorrenza. Per la «grana», si era già organizzato a modo suo: stringendo un patto di ferro con i clan di camorra più potenti di Napoli (i Licciardi, i Contini e i Mazzarella) e della città natale (i Moccia di Afragola).
L’obiettivo era importare a Roma decine e decine di chili di cocaina, hashish e marijuana in vendita h24, come alle Vele di Scampia, soprattutto nella zona est di Roma (Cinecittà, Tuscolano, Laurentino) ma anche a nord (Primavalle) oltre che sul litorale, a Ostia e Torvajanica, dove Senese venne intercettato e in rapporti coi boss Triassi e Fasciani. L’arresto ovviamente non ferma il progetto. E per una volta vedrebbe uniti personaggi che un tempo, nella faida di Secondigliano, si sparavano addosso. Soldati dei Di Lauro e soldati degli Scissionisti. Insieme in trasferta. Così almeno le microspie in un locale avrebbero catturato. Per conquistare il monopolio sul mercato, invece, chi fino all’altro giorno avrebbe preso ordini da don Michele continua a faticare più del previsto: le altre «famiglie» non ci stanno infatti a essere schiacciate da ’o pazzo. Così si sono organizzate e stanno rispondendo all’assedio delle truppe del padrino venuto dal sud.
Allo Sco e nelle Questure di Roma e Napoli sono al lavoro da tempo a una informativa top-secret per decifrare l’escalation di violenza nella Capitale negli ultimi quindici mesi. Una lunga scia di sangue che, nel 2011, ha fatto spuntare nel camposanto 35 nuove croci e che è proseguita nel 2012 con 5 omicidi (finora) e un numero incalcolabile di episodi di violenza come pestaggi, gambizzazioni e conflitti a fuoco non denunciati. È questo il prezzo che Roma sta pagando al progetto criminale di Michele ’o pazzo: molti degli agguati più recenti porterebbero la firma delle sue batterie di fuoco, anche se nessuna indagine finora è riuscita a incastrarlo per fatti di sangue. Anzi, per la legge, Senese non può nemmeno essere definito un malavitoso essendo stato assolto in appello dall’accusa di associazione mafiosa seppur condannato a 17 anni per narcotraffico (poi ridotti ad otto in secondo grado). Gli investigatori sanno bene, però, che lo «stato maggiore» della Nuova camorra romana è ancora tutto in libertà, perfettamente funzionante e adeguatamente istruito sui successivi passi della «marcia (criminale) su Roma», e che la tensione nel sottobosco di mafia nella Capitale resta a mille.
I tentativi di colonizzazione della Città Eterna da parte delle bande campane conquistano spazio negli ultimi rapporti di polizia giudiziaria: ci sono le alleanze tra il clan degli zingari Casamonica e i Sarno di Ponticelli per il racket, gli affari dei Giuliano di Forcella nel settore dei falsi d’autore e nella contraffazione, la ricettazione di preziosi, il reinvestimento negli immobili, il riciclaggio dell’Alleanza di Secondigliano nel comparto commerciale. E a strascico c’è l’asse tra i Casalesi e Cosa nostra per il controllo dei mercati ortofrutticoli del Lazio così come emerso dalle indagini del pm della Dda partenopea Cesare Sirignano.
Un patto tra Sandokan, il fratello di Totò Riina e gli imprenditori vicini al superlatitante Matteo Messina Denaro per sbaragliare la concorrenza nel trasporto di frutta e verdura dalla Sicilia a Roma, passando per la Campania. Qualcuno l’ha ribattezzato il patto delle arance. Rosse come il sangue.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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