Stipendiati ma senza lavoro. Italiani in fuga nei Paesi dove si campa di welfare

Parigi conviene per i sussidi di disoccupazione, Londra offre bonus sugli affitti mentre Oslo e Stoccolma sono i paradisi delle neo mamme. Ogni anno in 100mila partono in cerca di fortuna...

Stipendiati ma senza lavoro. Italiani in fuga nei Paesi dove si campa di welfare

Parigi val bene un sussidio di disoccupazione, quant'è bella Londra per i bonus sugli affitti; Oslo e Stoccolma ti conquistano perché lassù fare figli non significa dire addio al posto di lavoro, mentre a Copenaghen piove la manna del reddito minimo garantito. Cartoline inviate dalle capitali europee del welfare generoso, con tanti saluti all'Italia dove la coperta è sempre più corta e ogni intervento di stato sociale è elargito col contagocce, o al prezzo di tagli e sacrifici. Se mai come oggi gli italiani fanno le valigie in cerca di condizioni di vita migliori, ecco una nuova chiave per comprendere il fenomeno. Nello Stivale in cui la metà dei neolaureati deve aspettare più di tre anni per trovare lavoro, la scelta di trasferirsi all'estero spariglia le valutazioni costi-benefici. Tanto che, al di là delle reali prospettive occupazionali, per molti dei nostri trentenni e quarantenni è proprio la rete dei servizi offerta dagli altri Paesi a fare da incentivo alle partenze. Parliamo di quasi centomila all'anno, disoccupati o precari, che ormai non hanno quasi nulla da perdere. Perciò si mettono in gioco. Non necessariamente per un investimento di lungo periodo; possono bastare pochi anni, e in alcuni casi mesi, per godere oltreconfine di prestazioni e vantaggi che qui da noi restano impensabili. L'Europa avverte: cari «turisti del welfare», non provate a fare i furbi. Ci ha pensato la Corte europea di giustizia a piantare qualche paletto in tempi di economie in bilico e di profughi in cammino, mentre gli Stati ricchi si attrezzano per (ri)chiudere le frontiere. Eppure «migranti economici» gli italiani lo sono sempre stati: magari hanno smesso di sognare il posto fisso e ora inseguono altre «certezze». Come politiche di sostegno al reddito e alla maternità, servizi pubblici efficienti, assicurazioni sanitarie, pensioni adeguate, persino diritti da noi non ancora riconosciuti. Insomma, andiamo a prenderci altrove quello che mamma-Italia non può (...)(...) o non riesce ad assicurare. La Camera di commercio di Monza e Brianza ha messo sotto la lente di ingrandimento i novantamila italiani che hanno trasferito all'estero la propria residenza nel corso del 2014, aumentati del 30,7% rispetto ai due anni precedenti. La metà sono foreign professionist, laureati o diplomati specializzati con meno di 40 anni. In pratica, più di tre giovani ogni mille tra i 18 e i 39 anni hanno deciso di mollare tutto ed espatriare. Non lasciano soltanto le città difficili del sud, ma anche le province più ricche. Segno che la mancanza di lavoro non è l'unica molla per chi emigra. L'ultima fotografia scattata dall'Istat conferma questa tendenza. Il numero dei connazionali che hanno scelto di andare a vivere all'estero (89mila nel 2014 secondo l'Istituto nazionale di statistica) è aumentato dell'8,3% rispetto all'anno precedente, ma è più che raddoppiato rispetto a 5 anni prima. Vanno a cercar fortuna in Germania (14mila nuovi emigrati in un anno), Regno Unito (13mila), Svizzera (10mila) e Francia (8mila). La prima meta extra Ue sono gli Stati Uniti (5mila), seguiti dal Brasile (3.500) e dalla sempre più «gettonata» Australia (1.800).PAESE CHE VAI ASSEGNO CHE TROVIQualcuno però vuole mettere mano alle cesoie. Il premier britannico David Cameron ripete: chi viene a vivere oltremanica, comunitari compresi, dovrebbe pagare contributi per quattro anni (o addirittura sette) prima di poter beneficiare di assegni sociali sull'occupazione o sulla casa. Facendo tremare il mezzo milione di italiani che vive nel Regno Unito, tra cui almeno 210mila che hanno spostato la residenza, 165mila soltanto negli ultimi quattro anni, facendo degli italians in Inghilterra la terza popolazione straniera, dopo romeni e polacchi. Una volta ottenuto il Nin (National Insurance Number), l'equivalente del nostro codice fiscale che serve per registrare i contributi versati a livello pensionistico e assicurativo, è possibile accedere ai working age benefits connessi (e già accordati dal Department of work and pensions a circa settemila nostri connazionali, al 2014). Il blog livinglondonway.com dà una mano a orientarsi, nella selva di diritti e clausole, a chi è andato ad abitare a casa della Regina. Dove tra i contributi pubblici più «ambiti» ecco il Jobseeker's Allowance, con oltre 3.500 italiani richiedenti, un sussidio per chi resta senza lavoro basato sul reddito o sui contributi pagati (per almeno due anni): da 57 sterline (75 euro) a settimana per i single under 24, 72 sterline (95 euro) per i single over 24, 133 sterline (175 euro) per una coppia. L'Housing benefits è un aiuto per pagarsi l'affitto destinato a disoccupati, malati o redditi minimi; mentre il Child tax credit si traduce in uno sconto sulle tasse per chi ha figli a carico; oppure il Working tax credit per chi lavora part-time.Anche Frau Merkel minaccia di chiudere i rubinetti, non solo ai profughi. Per i 650mila italiani suoi «ospiti», il welfare tedesco non è affatto un regalo, specie per i sussidi di disoccupazione legati a complessi meccanismi di contributi versati (Alg I). In assenza dei requisiti è previsto un reddito di cittadinanza (Alg II o Hartz IV) che varia dai 400 euro al mese per i single ai mille delle coppie con un figlio, più l'affitto di un appartamento e l'assicurazione sanitaria. Va meglio ai 375mila italiennes di Francia, dove si vantano i sussidi di disoccupazione più «convenienti» d'Europa, pagabili anche per stipendi da 7mila euro netti. Dopo quattro mesi di disoccupazione si ha diritto a un assegno pari a circa il 65% dello stipendio per due o tre anni, a seconda che si abbiano più o meno di 50 anni. Per chi non ha lavorato abbastanza a lungo c'è sempre un salario minimo (Rsa) da 500 euro a oltre mille per una coppia con due bambini. A Parigi sono piuttosto di manica larga pure con gli assegni familiari (da 130 euro al mese per due figli fino a 20 anni di età, 460 per quattro).SU AL NORD«Qui fa freddo e non c'è lavoro. Restate a casa vostra». I Paesi Scandinavi vogliono far passare all'estero un'immagine ben diversa da quella del Bengodi attira stranieri. Eppure continuano a esercitare un certo fascino sui nostri emigranti. Sarà perché in Norvegia il congedo di malattia è il più generoso del Continente, garantendo il 100% dello stipendio dal primo giorno di assenza fino a un anno, o perché in Svezia i congedi parentali sembrano eccezionali: 16 mesi di permessi per ogni figlio all'80% della retribuzione per le mamme, 4 mesi per i papà. E poi, tornati a lavoro, gli asili a tempo pieno per cinque giorni alla settimana, dotati di ogni comfort, costano alle famiglie l'equivalente di 130 euro al mese per ogni bimbo. Se a Roma ci si affanna a cercare le coperture per un teorico reddito di cittadinanza da 700-800 euro, in Danimarca il reddito minimo garantito (concesso però solo ai «nullatenenti») è realtà da un pezzo e consiste in qualcosa come 1.300 euro al mese per le persone sole, e supera i tremila euro per le coppie con uno o più figli. Esagerati? In Finlandia, il governo vuole istituire dal prossimo autunno un reddito di 800 euro al mese non tassabili per tutti i maggiorenni, indipendentemente da altri redditi percepiti. LE NUOVE ROTTESui siti e nelle chat frequentate dagli «expat» Helsinki sta scalando le classifiche di gradimento. Arrivando a insidiare l'Olanda del mitico «Bijstand», a metà strada tra un sussidio di disoccupazione e un reddito di cittadinanza, che risale agli Anni '60 e che diverse proposte di legge stanno per limitare drasticamente. Altri Paesi, intanto, si guadagnano i favori e i consigli di chi ha già fatto il grande salto. In Svizzera a giugno si voterà un referendum sull'istituzione di un reddito minimo da 1.500 a duemila euro al mese, che pacchia. «Andate in Belgio - suggeriscono altri -. Se ti licenziano, prendi 800 euro al mese a tempo indeterminato...». O in Estonia, descritto come un paradiso «liberato dalla burocrazia», dove tutto si sbriga online senza code o scartoffie. Più di ogni altro incentivo, i 250 connazionali residenti a Tallinn e dintorni raccomandano di sfruttare le politiche di sostegno alla maternità. «Quando nasce un figlio ti danno il 100% dello stipendio del reddito mensile per 15 mesi. E assistenza a domicilio finché il bimbo non compie tre anni». Come a dire: preparate un biglietto di sola andata.CALAMITA O CALAMITÀ?«L'emigrazione, in passato, si studiava come un processo senza ritorno - spiega Giuseppe Russo, docente di economia all'università di Salerno -. Una visione superata: oggi si lascia la propria terra per un anno, spesso anche meno. Chi parte vorrebbe sempre tornare, nessuno va più via per sempre. O meglio ancora - argomenta Russo - nessuno vorrebbe emigrare, se si sceglie di farlo è perché mancano condizioni economiche e standard di vita accettabili. Intanto il nostro Paese è in crisi e ci rimette in capitale umano». Chi parte sceglie di stabilirsi «dove ci sono le migliori opportunità di guadagno e di carriera, c'è libertà di fare impresa, gli immigrati vengono accolti e integrati, e vi sono solide strutture di Stato sociale». Quello sul welfare magnet, cioè l'effetto-calamita esercitato da politiche assistenziali generose nei confronti di masse provenienti dall'estero, è un dibattito che divide economisti e governanti. Russo è convinto: «Un ricco sistema di welfare contribuisce in maniera decisiva alla decisione di emigrare, tanto che nel breve periodo i lavoratori con un reddito sotto la media risultano quasi ovunque beneficiari netti di bonus o sussidi. Nel lungo periodo, però, la situazione tende a riequilibrarsi. I governi dovrebbero regolarsi di conseguenza, inutile arroccarsi in difesa del fortino nazionale».Il «turismo del welfare» sarebbe dunque una specie di leggenda metropolitana? Eurofound, fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, ha sondato il terreno in nove Paesi Ue (c'è anche l'Italia) per stabilire l'impatto reale della libera circolazione sui conti pubblici.

La conclusione è che gli emigrati all'estero godono di livelli di prestazioni sociali e di servizi inferiori rispetto alla popolazione autoctona specie per congedi di malattia, assegni di invalidità e pensioni. Avviene il contrario per sussidi di disoccupazione e altri benefit legati al lavoro. Proprio quelli che fanno più gola agli emigranti del welfare a ogni latitudine.Giacomo Susca

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