Come nel più classico dei film gialli, quando il poliziotto guarda e riguarda cento volte il filmato fino al fatidico: «Ferma
un'immagine indietro. Ecco, proprio lì, alt
zoom dietro il tronco di quella pianta. Cosè quello?». E chi guarda capisce che quel particolare da sempre ignorato, finalmente viene preso in considerazione e quasi certamente si tratta di un dettaglio chiave. Questa volta il «dettaglio» è un cane molto speciale, perché è il randagino amico della povera Sarah Scazzi. Nel tourbillon di agenti, investigatori, giornalisti, ficcanaso che sempre accompagnano la scena di queste storie, quasi nessuno aveva notato quel cane cui Sarah, pur non essendo suo, si era affezionata. Era una sorta di cane di quartiere che ricambiava Sarah della sua amicizia, accompagnandola, ogni giorno, ovunque andasse.
Anche quel maledetto 26 agosto, il cane resta per ore immobile davanti al cancello di Via Deledda, senza distogliere lo sguardo dal garage. E, se ci badate (ora ovviamente), anche nelle infinite immagini tv della villa del delitto lui c'è, in un angolo piuttosto che in un altro, ma c'è. Ho sempre scritto di non attribuire eccessivi connotati umani ai nostri animali e sarebbe facile affermare che lui sa la verità. Forse non è vero e il cane sta solo aspettando che Sarah ricompaia con le sue carezze o forse è vero e lui stava già lì, dal primo giorno, a indicare il luogo del delitto e forse anche il (o i?) carnefice.
Certo non sarebbe la prima volta che un cane «segnala» la scomparsa di una persona o rimane a fissare attento il luogo dove sente che il suo più caro amico, prima o poi, darà segno di sé.
Non so dirvi cosa passi nella testa del randagino di Sara, ma quello di cui sono certo è che le sue emozioni sono un pianeta ancora inesplorato che un giorno ci riserverà enormi sorprese.
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