Energia, «urgente il mercato unico europeo»

nostro inviato a Cernobbio
Importiamo troppa energia dall’estero. Gli enti locali fanno i guastatori ogni volta che si decide di costruire una centrale a carbone o un impianto di rigassificazione. Non c’è diversificazione delle fonti, niente nucleare. E così, alla fine, il costo è del 25% in più rispetto alla media europea. Ieri a Cernobbio è stata presentata una ricerca dello Studio Ambrosetti, in linea con l’analisi di Confindustria, che fissa al 30% la maggiorazione della bolletta energetica rispetto ai competitor stranieri. «Gli effetti - dice l’ad di Enel, Fulvio Conti - sono quantificabili nella perdita del 3% di Pil».
Le inefficienze restano nonostante il mercato si sia aperto: l’Enel, ex monopolista, ha una quota del 30%. Il problema italiano, però, ha un orizzonte di soluzione di tipo prettamente comunitario. Tanto da indurre Mario Monti, nominato da Bruxelles advisor per l’integrazione delle reti fra Spagna e Francia, a instaurare un parallelismo tra unione monetaria ed energetica. «Speriamo - auspica - che in questo momento di turbolenza in materia energetica sia in termini di prezzi, sia di sicurezza degli approvvigionamenti, si arrivi a un processo come quello che ha portato alla moneta unica».
Non a caso, il 19 settembre vedrà la luce il terzo pacchetto energia della Commissione. Anche se c’è ancora molto da fare. Alessandro Ortis, presidente dell’Authority del settore, non ha soltanto ricordato che è necessario «arrivare presto al completamento del mercato interno europeo dell’energia». Ha anche aggiunto che ci sono difficoltà normative in grado di trasformarsi in ostacoli non irrilevanti: «Per esempio, in Italia i comuni cercano sempre di più di interrare i fili. In Austria è vietato. Come facciamo sul confine?».
Un altro problema è costituito dalla frammentazione, sia a livello nazionale, sia comunitario. «Oggi il problema dell’energia è globale - afferma Conti -. Serve una visione unica per gestire la politica energetica. Invece finisce che ci sono Regioni che si dotano di propri piani». Mentre periodicamente riappare «nimby», la sindrome collettiva secondo la quale tutti vogliono le centrali, ma nessuno le desidera nel proprio giardino («not in my backyard»).
«Nei confronti dei fornitori - dice Andris Piebalgs, commissario europeo per l’Energia - c’è bisogno di una voce comune».

Oggi i singoli Stati dell’Unione europea si muovono in ordine sparso. Non è ancora chiaro come. Ma è necessario superare una atomizzazione che, alla fine, rende tutti più deboli, di fronte ai fornitori big, Algeria e Russia.

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