L'esame del dna risale a febbraio. Ma solo a settembre, ben sette mesi dopo, i familiari, che attendevano sue notizie con ansia, hanno saputo che davvero quei poveri resti erano del loro congiunto. E per di più lo hanno saputo dalla stampa. Da due cronisti che, somma beffa, proprio per la pubblicazione di quella notizia si sono visti comminare un decreto penale di condanna per la pubblicazione di atti coperti dal segreto istruttorio.
Arriva dal cuore della Sicilia, da Enna, questa storia che è un eufemismo definire paradossale, raccontata dall'agenzia Apcom. I resti di un uomo, Carmelo Governale, pregiudicato di 36 anni, morto carbonizzato, sono stati riconosciuti il 27 febbraio del 2008. Ma probabilmente per ragioni investigative gli inquirenti non hanno reso nota la notizia: né alla stampa, né alla famiglia del defunto. Il tempo scorre, i mesi passano. La madre, la moglie, i figli di Governale attendono sperando, in fondo al cuore, che il loro caro sia ancora vivo. Ma a settembre arriva la batosta. Su due quotidiani siciliani, La Sicilia e Il Giornale di Sicilia, la notizia viene fuori. Per i parenti è una mazzata. La moglie chiama in lacrime i carabineri, è sconvolta dalla notizia e dal modo in cui l'ha appresa. Dopo alcuni giorni il cadavere viene riconsegnato alla famiglia, per i funerali.
Con la rivelazione della notizia inizia la seconda parte della beffa, quella che vede incriminati i due giornalisti - Giulia Martorana per La Sicilia e Josè Trovato per Il Giornale di Sicilia - "rei" di aver pubblicato la storia. I due cronisti, entrambi pubblicisti, vengono interrogati immediatamente. E si rifiutano di rivelare la fonte. Di qui l'incriminazione, in quanto solo i giornalisti professionisti sono esonerati dall'obbligo di rivelare le fonti delle notizie di carattere fiduciario ricevute. Non solo. I due giornalisti si sono visti notificare un decreto penale di condanna al pagamento di un'ammenda di 100 euro - già impugnato - per pubblicazione di atti coperti da segreto d'ufficio. Di più.
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