Enrico Hlebowicz

Si tratta di un sacerdote polacco di trentasette anni e appartenente alla diocesi di Wloclavek. Insegnava Teologia nell’università di Vilnius quando fu arrestato dalla Gestapo e rinchiuso a Borysow. Era il 1941 e dopo due giorni fu fucilato. Anche il Hlebowicz fa parte dei duecentootto martiri polacchi beatificati nel 2000 da Giovanni Paolo II e accorpati nel gruppo facente capo ad Anton Julian Nowowiejski, vescovo di Plock. A volte vien quasi spontaneo chiedersi perché mai Dio permetta che certi popoli cristiani, sempre loro, siano più vessati di altri nella storia. Non solo i polacchi, naturalmente, perché nell’elenco ci sarebbero anche gli armeni, i messicani, interi pezzi d’Africa e del Sudest asiatico eccetera. Ma quelli che hanno provato a interpretare i disegni di Dio hanno sempre dovuto arrendersi, perché dice la Bibbia che le sue vie non sono le nostre. E si vede. Allora, ci si potrebbe chiedere, che senso ha star dietro a un Dio che, peggio di Churchill, promette solo lacrime e sangue, rimanda tutto all’aldilà e, nell’aldiqua, è una lotteria? Be’, innanzituto c’è da dire che non c’è alternativa: tutti quelli che hanno promesso, e continuano a promettere, paradisi in terra hanno solo distribuito inferni e disperazione. Se un Alain Delon pensa al suicidio e un Francesco d’Assisi assicurava di essere felice (sono esempi, rispettivamente, di uno che ha avuto tutto dalla vita e uno che non aveva niente) qualcosa dovrà pur dire. Spesso non rimane che il grido di Pietro: «Signore, e da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». Gli altri, tutti gli altri, no.
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