
Una premessa: a me le petizioni hanno sempre fatto sbadigliare, indipendentemente che ne condivida o meno la causa: è proprio la parola “petizione”, forse, la sento e dormo. Oltre a darmi un senso di fatica sprecata, di partita persa in partenza (sbaglierò io, comunque fui oggetto anche di una petizione lanciata dalla compianta Michela Murgia e dalle femministe per non farmi pubblicare più da nessuno, e anche quella è finita nel nulla, non ce l’hanno fatta neppure con me). Una lunga teoria di “firma qui”, “firma là”, “salviamo questo”, “blocchiamo quello”, io me le immagino tutte archiviate in una cartella chiamata “Simbolico”, tra il panda del WWF e l’eredità spirituale dei Maya.
Tuttavia nel caso che sto per dirvi è diverso. Mi riferisco alla Stop Destroying Videogames, le ho dato una letta, e qualcosa ha iniziato a prudermi: forse era il pensiero che un giorno potessero spegnermi No Man’s Sky mentre sono ancora a metà galassia, o qualsiasi altro gioco.
Questa petizione, che ha già raggiunto un milione di firme (cioè il minimo per bussare alle porte della Commissione Europea senza essere ignorati come spam umano), non chiede la pace nel mondo, né la rivoluzione del sistema. Chiede solo di non distruggere i videogiochi che abbiamo comprato, ossia non distruggere ciò che abbiamo già pagato (un’idea talmente ovvia che dovrebbe essere scritta sulla scatola… se ci fossero ancora le scatole).
Il problema è semplice: giochi connessi, live service, patch su patch, server attivi finché conviene, mentre se un giorno all’editore gira, basta un clic e ciao. Il tuo inventario, il tuo personaggio, le tue ore di gioco, tutto evapora nel cloud. C’è anche un discorso collaterale di salvaguardia storica, siccome molti videogame hanno fatto la storia dei videogiochi.
Un tempo i videogiochi si rompevano quando lanciavi il controller, ora si autodistruggono e tu sei il pirla che ha firmato il contratto senza leggerlo (perché non c’era). È tutto digitale, tutto liquido, tutto a noleggio, anche l’identità che ti sei costruito in un MMO che chiuderà i battenti prima che tu riesca a capire se ti stavi divertendo.
In ogni caso la suddetta petizione chiede solo due cose: che un gioco rimanga giocabile anche dopo lo spegnimento ufficiale, e che gli editori non possano cancellarlo da remoto senza offrire alternative concrete. Cioè un minimo sindacale di rispetto per l’utente che ha sganciato minimo 69,99 euro più DLC, più Season Pass, più armatura cromata per l’unicorno, più varie skin, più accessori vari, un piccolo capitale.
A pensarci la cosa assurda è che ci sia bisogno di una petizione per questo, insomma nessuno si sognerebbe di farti sparire un film dalla tua videoteca dopo che l’hai comprato, nessuno ti toglierebbe un libro dallo scaffale per “fine supporto”. Magari abbiamo una collezione di film in VHS, però li troviamo tutti anche online, e se li acquistiamo su una piattaforma sono nostri per sempre (altrimenti li noleggeremmo). I videogiochi invece sì.
Tutto questo per dirvi che ho firmato per la prima volta in vita mia una petizione (mi fa un po’ senso), soprattutto perché potrebbe andare a buon fine (l’UE regolamenta il digitale su tutto, potrebbe farlo anche qui) e perché i videogiochi non sono yogurt: smettetela di farli scadere.