Politica

Entusiasmo ad Ankara: «Vittoria storica» ma i diplomatici frenano

La Borsa di Istanbul segna nuovi record, gli industriali sperano negli investimenti esteri

da Ankara

La Turchia ce l’ha fatta, ha ottenuto quello che voleva. Il sospirato negoziato per l’adesione all’Ue è finalmente partito senza alcun riferimento a quel «partenariato speciale» che costituiva l’incubo di Ankara e che l’Austria aveva sostenuto fino all’ultimo minuto. Esultano i politici, a partire dal premier Recep Tayyip Erdogan e dal suo vice Abdullah Gül («una vittoria storica, anche se il cammino sarà lungo e difficile»); e manifestano euforia gli ambienti economici, che si aspettano grandi flussi di investimenti stranieri in Turchia fin dalla fase negoziale - destinata a durare un decennio - e una maggiore stabilità politica ed economica. La Borsa di Istanbul ha registrato questi umori, facendo segnare ieri un corposo +3,86% dopo il record di +5,70% della sera precedente.
Anche i comuni cittadini turchi sono per lo più molto contenti, sebbene alcuni temano cedimenti su temi come il riconoscimento di Cipro o il genocidio degli armeni. La soddisfazione si traduce al momento in una crescita di consensi per il governo e verso la stessa Unione europea, che negli ultimi tempi erano nettamente calati.
Meno entusiasti appaiono invece i diplomatici turchi, che prevedono un irrigidimento del quadro negoziale e si preparano a colloqui irti di ostacoli. Il primo risiede nel concetto, rafforzato nel documento-quadro approvato a Lussemburgo, secondo cui l’Ue dovrà verificare nel corso del negoziato la propria effettiva «capacità di assorbimento» della Turchia, un Paese che oggi conta più di 70 milioni di abitanti, che nel 2015 ne avrà almeno 80 milioni e che nel 2020 potrebbe averne quasi 100 milioni. C’è poi il test di verifica, fissato già al 2006, sull’apertura dei porti e aeroporti turchi alle navi e agli aerei greco-ciprioti, oltre all’impegno di Ankara a riconoscere Cipro prima del suo accesso.

I diplomatici turchi sono poi insoddisfatti del fatto che solo la presidenza di turno britannica ha garantito ad Ankara la conservazione del suo potere di veto nella Nato.

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