da Milano
Enzo Biagi è grave. Le condizioni di salute dell’ottantasettenne giornalista e scrittore, ricoverato da una settimana presso la clinica «Capitanio» di Milano, sono peggiorate all’improvviso ieri mattina. Sono state le figlie Bice e Carla, scese in serata sul portone della casa di cura, a fornire qualche informazione ai cronisti accorsi sul posto subito dopo che la voce dell’aggravamento, ancora priva di una conferma, aveva cominciato a circolare con insistenza negli ambienti editoriali e giornalistici milanesi.
«La situazione di papà è particolarmente critica, anche se non si può dire che stia precipitando. Comunque rimane lucidissimo, nel senso che è sempre lui, capisce tutto - ha precisato Bice, anch’essa giornalista, rivolgendosi ai colleghi -. E vi ringrazio tutti per essere qui, vi capiamo bene perché fate lo stesso mestiere di papà. Ma vi preghiamo soltanto di una cosa, ovvero di non cercare di entrare in clinica. Quando avremo ulteriori notizie saremo noi a darvele».
Comunicati medici della direzione sanitaria, per chiarire il quadro clinico del decano del giornalismo italiano, ieri non ne sono stati forniti. Non è tuttavia un segreto, dal momento che è stato lo stesso Biagi a parlarne e a scriverne in più di un’occasione, anche con un invidiabile sense of humour, che sia sempre stato il cuore a travagliare la vita dell’ex giovane cronista del Resto del Carlino. «Ho sei bypass, un record. Sono in testa», aveva dichiarato infatti scherzando, in un’intervista, nel gennaio del ’94, dopo il suo terzo intervento chirurgico, sostenuto al centro cardiologico milanese «Monzino» appena un mese prima, quasi alla vigilia del Natale ’93. E nella stessa occasione aveva ricordato la prima operazione del genere (la seconda risale al 1991), forse la più delicata, subìta a Londra nel 1979, con l’applicazione dei primi quattro bypass, quando si trovava nella capitale inglese per un reportage televisivo.
«Dentro di me pensavo di non farcela», aveva raccontato all’intervistatore, rivelandogli di avere ancora perfettamente nelle orecchie il rumore delle bombole di ossigeno che venivano scaricate da un furgoncino sul marciapiede, proprio sotto la sua stanza d’ospedale. «Pensavo che erano anche per me», aveva ricordato. Aggiungendo poi in un suo articolo come da quel giorno avesse cominciato a misurare la sua vita futura in termini di panettoni natalizi, chiedendosi quanti ne avrebbe potuto ancora affettare e mangiare. «Credevo di essere eterno, ma le tre operazioni e i sei bypass hanno scosso questa sicurezza», ha scritto ancora con ironia, come incipit di un libro in cui aveva raccolto le riflessioni di uno che - sono sempre parole sue - «considera di essere arrivato ai tempi supplementari».
Ad aggravare con tutta probabilità le condizioni di salute di Biagi devono aver contribuito negli ultimi anni due terribili lutti verificatisi perdipiù in rapidissima successione: prima, nel febbraio del 2002, quando era scomparsa l’adorata moglie Lucia, con cui aveva condiviso 62 anni di vita e alla quale ha dedicato anche un libro, Lettera d’amore a una ragazza di una volta; e poco più di un anno dopo, nel maggio 2003, era arrivato il dolore più innaturale e atroce che possa toccare a un genitore, ovvero la morte di una figlia. Anna, 47 anni, la più giovane delle sue tre, madre di due figli, se ne era andata all’improvviso, fulminata da un ictus durante una vacanza a Sestri Levante.
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