"Enzo Tortora, un uomo speciale: vi racconto il mio amore"

Il primo incontro, la passione per i libri. La compagna di Tortora ripercorre gli anni trascorsi con il presentatore. "Ha reso eccezionale la mia vita"

"Enzo Tortora, un uomo speciale: vi racconto il mio amore"

"Di ricordi ne ho conservati tanti e sono tutti vivi. Il primo incontro fu un'intervista che Tortora concesse a me, giovane giornalista dell'agenzia Staff Studio. Mi affascinò quest'uomo galante che, a differenza di altri uomini dello spettacolo, parlava in maniera completa. Quando sbobinai mi accorsi non solo che le frasi erano tutte compiute, ma mi suggeriva persino la punteggiatura. Poi i lunghi pomeriggi di lettura nella casa di via Piatti, quando Enzo era agli arresti domiciliari. Le battaglie fatte insieme dopo la scarcerazione perché ottenesse giustizia. Ma è il brindisi alla fine della conferenza stampa durante la quale presentò la trasmissione televisiva Cipria, a spiegare tutto il suo fascino e la sintonia che nacque tra noi. Tortora si avvicinò con una coppa di champagne, un sorriso e uno sguardo dolce e magnetico. Un gesto raffinatissimo e semplice".

"Credimi, Francesca. Ma abbi fede, e la certezza che ti amo. Nessuno, come te, la possiede. D'altronde, né tu né io potevamo prevedere (neppure il demonio) che le cose assumessero il passo dell'inferno. Bisogna viverlo. La forza non è altro. Ti abbraccio amore mio. Non abbatterti".

Scriveva così, Enzo Tortora, dal carcere di Bergamo il 7 gennaio del 1984, attendendo la scarcerazione dopo sei mesi. Scriveva così nella missiva alla compagna Francesca Scopelliti che chiude la raccolta "Lettere a Francesca". "Pensavo al sottotitolo del libro di Leonardo Sciascia A futura memoria - racconta Scopelliti, già parlamentare per due legislature e presidente della Fondazione internazionale per la giustizia Enzo Tortora - e ricordavo la grande amicizia fra lo scrittore siciliano ed Enzo. Quel sottotitolo "se la memoria ha un futuro", pretendeva una risposta. Ancora una volta perché il suo sacrificio, come Sciascia scrisse, non restasse un'illusione. La memoria di Enzo deve avere un futuro".

Parlava degli incontri "fatali". Della conoscenza reciproca, delle letture. Com'è stato intrecciare cultura e sentimento?

"Bellissimo, con la naturalezza di un sentimento d'amore. Lo scambio culturale fu già intenso nei primi tempi della nostra conoscenza. Quando si dimise da parlamentare europeo e tornò a casa, agli arresti domiciliari, trascorrevamo ore e ore a leggere e parlare di libri, la cosa che forse più adorava. Li chiamavamo "i pomeriggi culturali". Partivamo, per esempio, da Tolstoj, da Guerra e pace per poi viaggiare con l'immaginazione, un'esplorazione continua nella storia e nel mondo. Vivendo accanto a un uomo così speciale la vita diventa eccezionale, inevitabilmente".

Perché?

"Probabile che con altri uomini, per conoscere il mondo, hai bisogno di viaggiare. Con Enzo, invece, la vita era meravigliosa anche stando in casa perché era lui che portava il mondo in casa. Passavi dal principe Bolkonskij a Edmond Dantès, dai Miserabili a Delitto e castigo. E poi la storia: se c'era da parlare di rivoluzione francese, ogni volta, si tiravan giù dalla libreria decine di testi. In una lettera drammatica dal carcere, citò Dostoevskij per spiegare la monotonia dietro le sbarre: il tempo che scorre come il gocciolare dell'acqua dentro un cassetto dopo la pioggia. Aveva una cultura straordinaria. Il suo autore preferito era Joseph Roth e fece innamorare anche me dello scrittore austriaco".

Come? Forse a Tortora piacevano i contrasti di Roth: umiltà e semplicità delle origini, rispetto delle istituzioni, crisi della modernità, destino drammatico e alienante?

"Lui amava leggere davvero di tutto e scriveva anche delle notule accanto ai libri. C'è da imparare, rileggendole. Io non ho problemi a dire che ho cambiato il mio modo di scrivere e mi ha arricchito moltissimo. Enzo era un uomo un po' british. Misurato, controllato. Ma in lui convivevano semplicità e grande cultura. I contrasti di Roth erano e sono certo affascinanti, sempre attuali. Tortora amava stare con tutti, ma in particolare con la gente più semplice. E credeva molto nelle istituzioni, si commuoveva, per esempio, quando sentiva il concerto della fanfara dei bersaglieri. Portobello ha incarnato tutto questo".

Perciò la trasmissione divenne una specie di Wunderkammer, di camera delle meraviglie in cui c'era di tutto per restare a Roth e ai miti asburgici?

"Enzo era un giornalista. Diventò un popolarissimo presentatore. La trasmissione ha fatto la storia della televisione italiana, ma lui si impegnava non per arte ma perché credeva davvero in quei valori. Era un uomo così libero, così dignitoso, corretto, per bene. Per lui no, tornando a Sciascia, tutto questo non era un'illusione".

Il carcere lo cambiò?

"Moltissimo, perché il tritacarne della giustizia in cui lui disse di essere caduto ne lacerò prima di tutto l'anima e poi il corpo. Rimise in discussione tutto, cambiando il modo di vedere la vita. L'uomo di Portobello diventò il leader politico di una battaglia per la giustizia dopo l'arresto e l'ingiusta detenzione per l'assurda accusa di stampo camorristico".

Nelle lettere Tortora sperava di riappropriarsi della vita. Quanto ci riuscì dopo il carcere?

"Passare per il tunnel di un'inchiesta giudiziaria basata sul nulla che ti fa diventare un mister Hyde, un mostro, perché questo era l'intento dei magistrati di Napoli, ti cambia. Il desiderio di libertà di Enzo era fortissimo. "Vai in un bar prendi un caffè per me, tocca la tazzina, cammina sui prati, baciami il mare". È proprio il senso della libertà, il cui valore apprezziamo quando ci manca. Appena uscito dal carcere abbiamo vissuto il processo di primo grado, poi la campagna elettorale con Marco Pannella che è stato un grande impegno. Poi l'arrivo a Strasburgo, il processo di appello. Poi Enzo ha cominciato a fare il giro delle carceri in Italia. A quel punto la vita è cambiata. Enzo ha sentito di doversi impegnare fino in fondo nella battaglia per la giustizia".

Tortora si sentiva un sopravvissuto? Temeva di non avere più tanto tempo davanti a sé?

"Non l'ha mai detto. Lui parlò di una "bomba al cobalto che mi è scoppiata dentro" e quindi, probabilmente, sentiva che qualcosa anche nel suo corpo era cambiata. Sono convinta, e questo lo dico dopo avere vissuto tutti gli eventi, anche quello tragico della sua morte, che lui abbia dominato quella bomba perché aveva appuntamenti irrinunciabili: la denuncia del sistema penale in Italia, la battaglia contro la vergogna di un innocente in carcere senza uno straccio di prova, tutto degno, lo scrisse, del "regime di Pinochet"".

E poi la battaglia contro le condizioni carcerarie.

"Ricordo le sue parole quando ritornò in tv a Portobello: "Parlo per conto di chi non può. E sono tanti, troppi". Dopo le denunce di Enzo, anche come presidente del Partito radicale, oggi i detenuti hanno un metro quadrato in più nelle loro celle. Certo, i problemi carcerari sono lungi dall'essere risolti. Enzo ha dominato il male perché doveva arrivare a Strasburgo e raccontare al Parlamento europeo il suo calvario e quello delle carceri italiane".

Infine arrivò l'assoluzione.

"E il ritorno al suo pubblico, che aveva pregato per lui e scritto lettere. Quelle persone semplici che non l'hanno mai tradito e lui voleva ricambiare dicendo: "Neanche io vi ho tradito perché non sono quello che vogliono farvi credere i magistrati di Napoli. Io sono una persona per bene". Poi ancora il referendum sulla responsabilità dei magistrati, insieme a Pannella e ai radicali. E quel referendum, mi piace dirlo, fu vinto con oltre l'80 per cento di voti favorevoli alla responsabilità civile dei giudici, con una grande affluenza alle urne: il 67 per cento. Il referendum fu tradito da una legge che anche il ministro Vassalli, prima di morire, confessò non essere quella che occorreva. Il male purtroppo prese il sopravvento alla fine di questo percorso. Prima di morire, Enzo mi ha chiamata e mi ha detto: "Adesso tocca a te portare avanti la battaglia per la giustizia". La Fondazione internazionale Enzo Tortora è una sua volontà".

Tortora le scrive sempre con grande affetto. Era difficile trovare parole consolatorie.

"A Enzo raccontavo la quotidianità. Alla fine ho scoperto che era più lui a consolare me. Per lui era terribile. Per me tutto più difficile perché non potevo andare a trovarlo in carcere.

Tra noi c'è stato un grande amore, ciò che abbiamo fatto è stato dettato dal sentimento. Quello che si fa per la persona amata lo si fa. L'ho fatto io per lui e lo ha fatto anche lui per me". In una lettera Tortora le scrisse: "Mi piacerebbe vivere con te il finale". È stato così.

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