Epifani fa flop, ma minaccia scioperi a raffica

RomaSan Giovanni non perdona. La piazza è un azzardo, si vince solo se si riempie tutta. Dominata dalla statua del Santo che ha visto passare là sotto cortei di tutti i colori, la piazza delle folle oceaniche quando ospita una folla normale diventa una sconfitta.
E così è successo ieri per la manifestazione solitaria della Cgil senza Cisl e Uil. Corteo (in contemporanea con lo sciopero) sperimentale: statali e metalmeccanici insieme, ministeriali e tute blu, un sodalizio talmente inedito che dal palco si raccontava una battuta di Bertinotti: «Ne ho fatte tante, ma metterli insieme non mi è mai riuscito, mai».
Si sceglie San Giovanni per le manifestazioni di rottura, per le sfide apocalittiche, ma ieri è sembrata una scommessa sfortunata, con un risultato impietoso se messo a confronto con l’onda dei 3 milioni che portò fin qui Sergio Cofferati sei anni fa. Per gli organizzatori del corteo «Unità di crisi» erano in 700mila, per la questura solo 50mila. Ma era la piazza che non perdona a dire la verità: troppi spazi vuoti. E spazi ancora più vuoti mentre il segretario della Cgil Guglielmo Epifani ancora parlava. Ora di pranzo, è vero, ma non era un bello spettacolo vedere bandiere del sindacato prendere alla chetichella la via della fuga prima del tempo. E così in tanti si sono persi l’impegno alla lotta dura: la Cgil tenterà di cambiare la politica economica del governo a colpi di sciopero, «sciopero dopo sciopero», ha promesso Epifani.
L’isolamento, seppure bellicoso, non ha giovato alla Cgil: la manifestazione per la scuola del 30 ottobre dei sindacati compatti fu un successo, ieri è sembrata una sfilata di nicchia, con simboli polverosi, lo stemma degli zapatisti, il «mensile marxista Falce e Martello», annunci di «conflitti sociali» e di una «primavera rovente», le bandiere della frammentata opposizione a Rifondazione comunista, come Sinistra critica, Alternativa comunista, il variegato mondo dell’ultrasinistra in cerca di consensi nella crisi che però ieri non aveva i numeri per lanciare una sfida vera.
Era una sinistra di piazza alternativa al Pd, con un’anima solida di operai disperati, ma più arrabbiati forse con la sinistra che con Berlusconi: «Perché non si riesce a unire la sinistra!», ha gridato un metalmeccanico a Pierluigi Bersani, uno dei pochi esponenti del Pd in piazza. E Bersani non ha saputo che rispondere, perché l’unità ieri non l’ha trovata neppure il suo partito.
Per il ministero della Funzione pubblica hanno aderito allo sciopero il 7,4% degli statali. Secondo la Fiom la partecipazione nello stabilimento Fiat di Mirafiori è stata del 50%. A parte i numeri, la solita battaglia dei numeri, la piazza «Unità di crisi» ha parlato della crisi economica, degli «stipendi a 700 euro», ma l’unità non l’ha vista nemmeno da lontano. Assenti Uil e Cisl e polemiche a non finire: «Bonanni ogni giorno dice cose non vere - lo ha criticato Epifani - la butta in politica. Ci vuole un po’ di rispetto per le scelte altrui».
E pure il Pd si è diviso. C’erano Bersani, D’Alema, Bettini. A casa Dario Franceschini. A casa anche Walter Veltroni, ufficialmente impegnato in Sardegna per la campagna elettorale, con un messaggio da lontano: «Bisogna unire il mondo del lavoro, perché la crisi è profonda. Sarebbe bello se l’Italia intera si fermasse per dire al governo: svegliati». Bersani ha provato a giustificarlo: «Non ha partecipato forse per segnalare l’esigenza di ritrovare l’unità» dei lavoratori. D’Alema è stato un iceberg: «Non è qui perché ha altre responsabilità. Comunque non voglio polemizzare con Veltroni». E in questa presenza-assenza di un Pd ambiguo, il Prc ha trovato un momento di gloria dopo un anno nell’ombra: «Rifondazione come partito c’è - commentava il segretario Paolo Ferrero - mentre il Pd oggi non c’è, a differenza di quanto successe nel 2003, quando l’opposizione di sinistra era tutta con la Cgil».


«L’Idv è oggi in piazza con i lavoratori», ha dichiarato invece in una nota Antonio Di Pietro. In prima fila, sotto il palco, al centro del pubblico, si esibivano infatti gli sbandieratori dell’Italia dei valori. I sempre-presenti, in tutte le piazze, vuote o piene che siano.

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