Epifani teme il flop e attacca Veltroni: l’opposizione sono io

RomaA due giorni dallo sciopero generale di venerdì, la tensione tra Pd e Cgil è molto forte.
Per il partito di Walter Veltroni, la situazione è di «imbarazzo», come ammettono i dirigenti più vicini al segretario, e la conta tra chi dei suoi big scenderà in piazza e chi invece non ci andrà, e anzi critica le scelte solitarie della Cgil, sta diventando un tormentone che fa emergere le divisioni interne. Tanto che ieri sera la vicepresidente dei deputati Pd, Marina Sereni, è sbottata: «Meglio decidere se ci deve o meno essere una nostra delegazione, e contemporaneamente assumere un’iniziativa verso tutti i sindacati: il bipolarismo sindacale sarebbe una iattura, e il Pd deve fare di tutto per scongiurarla».
Ma anche per il sindacato di Corso d’Italia la scommessa è ad alto rischio: la macchina Cgil sta andando da settimane a pieni giri per assicurarne la riuscita, ma la prova di forza è doppia. Da un lato con gli altri sindacati, per riuscire a dimostrare che la Cgil riesce a sfondare e a convincere, catalizzando il malcontento, anche nelle roccaforti di Cisl e Uil, a cominciare da Pubblico impiego, Poste, ministeri. Dall’altro con il principale partito di opposizione.
Nei confronti del partito di Veltroni, in un’intervista all’Unità, Guglielmo Epifani usa parole molto dure: in Italia non c’è una opposizione forte, e questo è «un problema per la democrazia stessa». Il Pd è «debole», «tanto al centro che in periferia», e «non può restare fermo, altrimenti implode», deve darsi «un profilo identitario molto forte» e «recuperare autorevolezza», essere in grado «non solo di avere un progetto ma anche di attuarlo». Perché «c’è bisogno urgente che le persone che non condividono le scelte del governo trovino un progetto di cambiamento sul terreno politico». E questo, conclude, dà «un sovrappiù di responsabilità alla Cgil».
Parole che al vertice del Pd non hanno certo fatto piacere. Epifani si investe di un ruolo di supplenza nei confronti dell’opposizione parlamentare, offrendo una bandiera «identitaria» di mobilitazione sociale ad una sinistra troppo poco rappresentata dal Pd: «Il suo è il progetto dell’unità delle sinistre, contro quello dell’unità dei riformisti che è il nostro», dice un dirigente molto vicino a Veltroni. E questo, tanto più dopo che Epifani ha fatto capire che rifiuterà la candidatura nelle liste Pd alle prossime elezioni europee (Goffredo Bettini aveva già assegnato a suo nome un posto di capolista nel centro Italia), non migliora il feeling. Ma il leader Cgil sta anche cercando una sponda autorevole nel Pd, per non rimanere troppo isolato politicamente e schiacciato sulla sua sinistra interna, con Paolo Ferrero a fargli compagnia in piazza. Veltroni gli ha spiegato di non poter dare alcun sostegno ufficiale ad uno sciopero che divide il suo partito. Tutta l’ala ex Margherita, da Fioroni a Letta a Rutelli, boccia la rottura con Cisl e Uil e critica la «deriva» radicale e solitaria della Cgil. Ma anche in casa ex Ds i distinguo e le prese di distanza sono molte. Pierluigi Bersani, che si è posizionato come ala sinistra del Pd, è sceso in difesa della Cgil, assicurando la propria presenza. Ma non basta: e per questo Epifani sta tentando di convincere Massimo D’Alema ad essere in piazza, e insisterà anche oggi a Napoli dove i due si parteciperanno insieme ad un dibattito.

La risposta si conoscerà probabilmente in giornata, ma un dalemiano di stretta osservanza nota che «la sintonia con Bersani è notevole» in questo periodo, e che «in un partito normale, se gli ex Dc sono liberi di stare con la Cisl e di criticare lo sciopero, noi dobbiamo esserlo altrettanto e poter appoggiare la Cgil».

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