Uno degli slogan-totem del «politicamente corretto» è il seguente: chi si droga sono fatti suoi, nessuno gli rompa le scatole. Per questo ieri Giuliano Amato, che ha proposto controlli sugli studenti, è stato trattato come un ministro di Pinochet: «Ma quali controlli? - hanno detto in molti, indignati - sarebbero incompatibili con la democrazia». Per troncare poi, sul nascere, ogni possibile approfondimento, il ministro è stato ridicolizzato ponendo al centro dellattenzione la parte più paradossale - e folcloristica - del suo discorso: cioè quella in cui Amato proponeva un test antidoping sugli studenti al termine delle interrogazioni. Facendo credere che la proposta è questa, si fa passare il ministro per un fesso e, per dirla brutalmente, si butta in vacca il problema.
È un peccato, perché il discorso pronunciato ieri da Amato a Firenze meriterebbe ben altra considerazione. Il ministro dellinterno ha detto che in Italia occorre «una campagna enorme contro la droga e non contro i trafficanti ma contro noi stessi, chiamando in causa noi, integerrimi consumatori di cocaina, e quei genitori, e non solo i figli, che prendono cocaina nel weekend per passare un fine settimana più elettrizzante».
Amato ha poi ipotizzato alcune misure. Non so se siano giuste. Può anche darsi che non siano né corrette né efficaci. Ma ciò che conta è che le parole del ministro segnano finalmente uninversione di tendenza nellanalisi di un fenomeno che finora la maggioranza dei politici e dei giornalisti ha - in molti casi anche per cattiva coscienza - sottovalutato e banalizzato.
Certo, tutti dicono che «la droga fa male». Ma poi si aggiunge che «uno spinello è come un bicchiere di vino», e si fa intendere che la cocaina è tanto chic. Poi, per darsi unulteriore ripulita alla faccia, si dice che, diamine, bisogna far la guerra ai narcotrafficanti. Amato invece ha detto che non basta combattere gli spacciatori, prima ancora «dobbiamo chiamare in causa noi stessi, noi consumatori»; e ha detto pure che il re è nudo, cioè che luso di cocaina è diventato ormai un fenomeno di massa, e che a scuola si deve davvero far capire ai ragazzi che sniffare farà anche tanto figo, ma pure tanto male.
Amato ha proposto anche dei controlli, ed è su questo che si è attirato i fulmini dei difensori della democrazia. Perché come si diceva allinizio, il luogo comune oggi dominante è che luso di droga è un fatto personale, nel quale non bisogna ficcare il naso. È bizzarro: alluscita delle discoteche si può far lesame per capire se hai bevuto, ma non se ti sei drogato. Ancor più bizzarro: chi fuma una sigaretta oggi è trattato come un appestato, ma chi si droga faccia pure, sono fatti suoi. Ti rispondono così: chi fuma danneggia anche il suo prossimo, chi si droga solo se stesso.
Ne siamo sicuri? Siamo sicuri che chi si droga non sia - ad esempio - anche un costo sociale, in materia di spesa sanitaria? Siamo sicuri che non semini preoccupazione e dolore tra le persone che vivono con lui? Siamo sicuri che non incrementi la micro (e a volte non solo micro) criminalità? Signori teorici del chi-si-droga-sono-fatti-suoi, permettete una domanda: mandereste vostro figlio su uno scuolabus guidato non dico da un eroinomane, ma anche solo da uno che si fa le canne? Chi si oppone a ogni possibile misura contro luso di stupefacenti dice di farlo in nome della libertà: ma ho seri dubbi che questo non sia uno di quei casi in cui la libertà individuale mette a rischio quella degli altri.
Ma poi, la libertà. Quanto è davvero «libero» uno che si droga? Qualsiasi psichiatra che ha avuto a che fare con casi del genere può testimoniare che in un tossicomane convivono due persone: una che chiede disperatamente di essere aiutata a smettere, e unaltra che non ce la fa. Quale di queste due persone dobbiamo veramente aiutare a essere libera?
E venendo ai ragazzi delle scuole: quanto sono davvero «liberi» a sedici-diciassette anni? A me sembrano così tanto condizionati, e spesso anche così fragili. La proposta di Amato sarà certamente incompleta, avrà anche qualche aspetto un po naïf: ma perlomeno ha il merito di aver gettato un sasso in piccionaia.
Michele Brambilla
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