RomaIn una giornata piena di guai, lunica buona notizia per Pierluigi Bersani arriva dalla famiglia: la moglie del segretario Pd, discretissima neo-first lady, annuncia di essere pronta a lasciare la farmacia che gestisce a Piacenza per raggiungerlo finalmente a Roma: «La vita è una sola e voglio che la mia sia più normale, accanto a mio marito».
Per il resto, le gatte da pelare sono già molte, al secondo giorno da leader. Ci sono i contraccolpi pesanti del caso Marrazzo da gestire, il candidato governatore da trovare, eventuali primarie da organizzare per una partita che, come ammette il segretario uscente del Pd laziale, Roberto Morassut «è praticamente disperata». Cè il caso Rutelli, e il fantasma di una prossima scissione. Che per ora è solo unipotesi, e che secondo alcuni sarebbe in realtà unoperazione non sgradita, sul medio periodo, a DAlema e Bersani, ansiosi di costruire un ponte con lUdc per legarlo al centrosinistra. Ma che intanto crea non pochi problemi di immagine al nuovo Pd. E ieri lo stesso DAlema ha chiamato Rutelli, per riaprire un dialogo con lui.
E poi cè la grana dei capigruppo, che si sta rivelando assai complicata. Raccontano di un Bersani molto irritato per il repentino annuncio di remissione del mandato di Anna Finocchiaro e Antonello Soro. Un gesto «di cortesia», è stato detto, un «atto dovuto» per rispetto al nuovo segretario. Ma in realtà, a quanto spiegano a Montecitorio, la mossa non è stata concordata con Bersani. E sotto accusa viene messa soprattutto la presidente dei senatori: secondo la versione di alcuni dalemiani, sarebbe stata lei ad accelerare per incassare una formale riconferma. Tantè che mentre Soro ieri mattina ha precisato che le sue sono dimissioni irrevocabili, la Finocchiaro non ha detto nulla di simile.
Che il franceschiniano capogruppo alla Camera fosse ad alto rischio sostituzione, in caso di vittoria bersaniana, era chiaro da tempo. E negli ultimi mesi le critiche alla gestione del gruppo parlamentare, da parte dalemian-bersaniana, erano andati in crescendo, culminato con lo scandalo delle assenze al voto sullo scudo fiscale.
Ma la verità è che la grana capigruppo, piombata subito sul tavolo di Bersani, è talmente complicata da sbrogliare che la speranza del segretario è di poterla rinviare a dopo le regionali, congelando anche Soro. La cui sostituzione è un vero puzzle: il posto «spetta ad uno della Margherita», dice il bersaniano Andrea Orlando. Bersani vorrebbe Enrico Letta, che nicchia e che soprattutto si troverebbe contro, nel segreto dellurna, anche una parte del suo schieramento, a cominciare dallala che fa il tifo per Rosy Bindi. Insomma, una scelta interna rischia di spaccare la maggioranza. Daltro canto, non è che la minoranza (dove a puntare al posto di capogruppo cè Piero Fassino) sia più unita, anche se ieri sera Franceschini ha radunato i suoi parlamentari per ringraziarli e per spiegare che «la nostra non deve essere una corrente, tanto meno etichettata col mio cognome che è pure brutto, ma deve restare unarea democratica», «unita» e organizzata «anche sul territorio». Franceschini tenta insomma di tenere insieme il suo schieramento, ma gli ex Ppi, guidati da Beppe Fioroni, sono già pronti a trattare con la maggioranza bersaniana. La prima prova la stanno dando nel Lazio: il candidato regionale di Bersani, Mazzoli, non ha raggiunto il quorum del 50%, e ora sarà lassemblea regionale a decidere del ballottaggio tra lui e il franceschiniano Morassut. Che avrebbe potuto ottenere i voti della mozione Marino (ossia di Goffredo Bettini), e vincere. Ma gli ex Ppi e un pezzo di ex rutelliani han già promesso di sostenere il candidato dalemiano, spaccando il fronte Morassut.
Oggi, a proposito di guai, a Bersani tocca anche incontrare Di Pietro, che già ha convocato un «anti-Berlusconi day» di piazza, sfidando il Pd a aderire.
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