«Era un artista idealista e romantico»

La valutazione complessiva di Emilio Tadini non la può che formulare Vittorio Fagone, il critico che a partire dal dopoguerra si è mosso senza incertezze sullo studio dell’opera dell’artista.
Era il 1947 quando cominciò a convincersi di testi del Tadini scrittore?
«Sì, erano pubblicati sul prestigioso Politecnico diretto da Elio Vittorini ed erano ricchi di suggestioni innovative. Tre anni dopo Tadini compie scelte decisive e passa alla pittura. Sullo sguardo e sulle sue mani si fondava tutto il suo sapere».
Quali erano i suoi cardini?
«Immaginazione e libertà. Credo che Tadini sia un personaggio chiave per la sua posizione nella Milano dell’immediato dopoguerra. Non abbandonò mai il ruolo di scrittore anche se poi scelse la pittura: due elementi importanti sul piano conoscitivo sulla rappresentazione del reale. Ricordo che usciva un’edizione di scritti di Aristotele e lui sottolineava: “La conoscenza del mondo passa per l’uomo da questo passaggio obbligato che è la figura. La figura è alla basa di ogni conoscenza, è ciò che distingue l’uomo, ci fa vedere in forma completa l’orizzonte del mondo”».
L’ha seguito per oltre trent’anni e l’ha colpita il concetto che è importante privilegiare l’occhio della pittura per conoscere il mondo...
«Altro elemento è il reale che ha esercitato nella sua vita artistica e culturale come segno di una dimensione sociale, culturale e politica. L’arte rappresentava qualcosa che superava e inglobava tutto questo perché l’espressività dell’uomo superava ogni dimensione».
Lei a proposito di Tadini affermava due dati fondamentali: il primato dell’immaginazione e la coincidenza con la libertà...


«Data la consapevolezza ideale, reale e naturale di questo grande artista, mi è sempre piaciuto ricordarlo come indicatore di coscienza e rappresentante di una dimensione che è andata perduta a ogni livello. Forse era un romantico e un idealista».

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