Erdogan minaccia l'Ue L'Europa non deve cedere all'aspirante sultano turco

Non si possono fare buoni affari con chi non condivide la nostra idea di civiltà. Ieri Erdogan aveva minacciato di rompere le relazioni

Erdogan minaccia l'Ue 
L'Europa non deve cedere  
all'aspirante sultano turco

Se un singolo Paese islamico come la Turchia, per quanto importante sul piano geo-politico, militare ed economico, è già oggi in grado di tenere sotto scacco l'Unione Europea e al tempo stesso di aggiudicarsi, con il benestare e la complicità dell'insieme dell'Occidente, il ruolo guida nella riesumazione di un califfato islamico sulle sponde del Mediterraneo che illudendoci immaginiamo democratico e liberale, significa che questa Europa è totalmente impotente e che l'Occidente è votato al suicidio.

La minaccia formulata ieri dal governo turco di congelare i rapporti con la Ue se nel luglio del 2012 la presidenza di turno dell'Unione verrà assunta da Cipro, conformemente al normale avvicendamento tra i 27 Paesi membri, qualora entro quella data i negoziati di pace non saranno conclusi, suona come un ricatto inaccettabile. Casomai avremmo dovuto essere noi europei a imporre alla Turchia il ritiro del suo esercito che occupa militarmente il settore settentrionale dell'isola sin dal 1974, come condizione per avviare qualsiasi negoziato sul suo ingresso nella Ue. Non solo non l'abbiamo fatto ma ci siamo ridotti ad essere noi a corteggiare la Turchia affinché entri nell'Unione, nonostante l'occupazione militare, la pulizia etnica nei confronti dei greco-ciprioti costretti ad abbandonare le loro case e le loro proprietà sostituendoli con cittadini turchi, lo sfregio delle chiese distrutte o trasformate in moschee. Sin d'ora, se volessimo prefigurarci la prospettiva dell'Europa dopo l'eventuale ingresso della Turchia nell'Unione, non dovremmo far altro che visitare il settore settentrionale di Cipro, che è territorio europeo occupato militarmente ma che l'Europa ha scelto di non difendere accettando che si trasformasse in oggetto di trattative.

So bene quanto oggi sia importante economicamente per le imprese italiane ed europee la Turchia, che è il Paese che registra la più alta percentuale di investimenti delle imprese italiane ed è il principale acquirente delle armi prodotte in Italia. Ma proprio il violento terremoto che sta accadendo sull'altra sponda del Mediterraneo, enfaticamente ribattezzato Primavera araba, ci insegna che gli affari non reggono nel medio e lungo termine se non vi è condivisione di valori assoluti e universali e adesione ad una comune concezione della civiltà.

La Turchia di Erdogan non ha nulla a che spartire con i nostri valori e la nostra civiltà. La recente decisione di espellere l'ambasciatore d'Israele, di interrompere tutti i rapporti militari e commerciali, di far scortare da navi militari le imbarcazioni turche che cercheranno di approdare a Gaza ignorando il blocco israeliano e, al tempo stesso, di scegliere come interlocutore palestinese Hamas, di proporsi come alleato del fronte arabo in un eventuale scontro con Israele, sono tutti fatti che attestano che non abbiamo a che fare come un regime moderato e pacifico. Certamente Erdogan non è né moderato né pacifico. Nel 1997 l'attuale premier turco fu arrestato per aver letto in pubblico una poesia che recitava: «I minareti sono le nostre baionette, le cupole sono i nostri elmetti, le moschee sono le nostre caserme». Nel 1998 Erdogan è stato condannato per incitamento all'odio religioso ed è stato bandito dalle cariche pubbliche, con l'esclusione dal corpo elettorale fino al 2002. Dei 10 mesi di condanna, ne scontò 4 in carcere.

L'ostilità di Erdogan nei confronti di Israele non è una semplice reazione all'uccisione di nove cittadini turchi a bordo della nave Marmara che nel maggio del 2010 tentò con violenza di approdare a Gaza scontrandosi con le forze speciali israeliane che vi fecero irruzione. È parte integrante della sua ideologia islamica integralista. Per l'Unione Europea la salvaguardia del diritto di Israele ad esistere come Stato del popolo ebraico dovrebbe essere un principio non negoziabile perché corrisponde alla difesa della sacralità della vita di tutti. Uso il condizionale perché evidentemente questa Europa dell'euro, relativista, buonista ed islamicamente corretta si è trasformata in una landa deserta e si è rassegnata a diventare una terra di occupazione.

Mi domando: che c'entra la Turchia con l'Europa? Basta guardare la carta geografica per "scoprire" che la Turchia non è in Europa. Calcolando minuziosamente la superficie, si accerta che ben il 97% del territorio turco è in Asia. Se si dovesse considerare europeo uno Stato che ha il 3% del territorio nazionale nell'Europa geografica, allora dovremmo ritenere che anche la Tunisia fa parte dell'Europa, avendo la punta settentrionale più a nord dell'estremo limite meridionale dell'Italia, ossia l'isola di Lampedusa.
Da quando la Turchia è sottomessa a dei governi islamici, la società turca è sempre più involuta, intollerante ed aggressiva. Negli ultimi anni è cresciuta la repressione nei confronti dei cristiani. Ci sono stati diversi missionari e sacerdoti assassinati, tra cui i nostri connazionali don Andrea Santoro il 5 febbraio 2006 a Trebisonda e monsignor Luigi Padovese il 3 giugno 2010 a Iskenderun. Oggi in Turchia i cristiani sono costretti a professare la loro fede in semi-clandestinità, con le chiese protette dai militari, avvolti in un clima di pregiudizio e di ostilità alimentato dai mezzi di comunicazione di massa. Tuttora è considerato reato denunciare il genocidio di circa un milione e mezzo di cristiani armeni tra il 1915 e il 1919, così come prosegue la violenta repressione del popolo curdo.

E noi affidiamo a questo regime islamico la nostra sorte, dandogli la missione di rovesciare i regimi dittatoriali laici che erano al potere sull'altra sponda del Mediterraneo per

sostituirli con regimi islamici simili. Ebbene se il nostro modello di vicino di casa è il regime islamico turco di Erdogan, vuol proprio dire che abbiamo messo in soffitta la ragione e abbiamo cessato di volerci del bene.

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