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Eredità, Margherita butta papà Agnelli dentro un fondo nero

Nelle memorie presentate al giudice l’unica figlia dell’Avvocato accusa: "Manca un miliardo e mezzo di euro". La somma sarebbe stata nascosta nei paradisi fiscali esteri attraverso una serie di spericolate operazioni

Eredità, Margherita 
butta papà Agnelli 
dentro un fondo nero

«Come nelle migliori famiglie». Si dice così per individuare un caso standard, la norma che vale per la moltitudine. Per la famiglia media. E nelle migliori famiglie si litiga, spesso e volentieri, per un’eredità. E si litiga fino alla devastazione degli affetti, che di fronte alla pecunia, piccola o grande che sia, soccombono malamente. Si litiga tra fratelli, tra mamma e figlio, tra padri e madri, tra mariti e mogli, con la partecipazione straordinaria di nuore, cugini, cognate. Ed è uno dei più umani dei comportamenti possibili, nel senso che appartiene all’homo sapiens più che a ogni altra specie vivente questo istinto all’accaparramento del patrimonio accumulato da altri, parenti o meno che siano.
Istinto e calcolo come quelli di Irene - la giovane figlia di un ferramenta nella Roma di fine 800, protagonista del romanzo di Gaetano Carlo Chelli (nonché film di Mauro Bolognini del 1976) «L’eredità Ferramonti» - che pur di ereditare la fortuna di un vecchio fornaio che odia i suoi figli, non si farà scrupoli ad andare a letto con il vecchio e al tempo stesso con due dei suoi quattro possibili eredi, dopo aver tentato di distruggere gli altri due. Paradigma di una storia piccolo borghese del primo secolo scorso, ma anche descrizione del terreno sociale più tipico e più fertile per litigare intorno a un testamento. Il terreno della normalità, appunto.
Così bassi istinti e piccola o media borghesia non dovrebbero avere nulla da spartire con i Re. Ma non è così, e il Re è di nuovo nudo. Questa volta capita a Torino, dove risiede l’unica famiglia Reale dell’Italia moderna. Reale nel portamento, nel carisma, nel peso esercitato in ogni settore della società nazionale per tutto il secolo scorso, dall’industria (la Fiat), allo sport (la Juventus) ai media (il Corriere della Sera), alla finanza (quote in banche e assicurazioni). E il Re era l’Avvocato, Gianni Agnelli, nato a Torino il 12 marzo del 1921, e morto sempre a Torino, il 24 gennaio del 2003. Ebbene, come nelle migliori famiglie, anche in casa Agnelli ci si azzuffa intorno all’eredità dell’Avvocato. Con Margherita - unica figlia in vita dopo il suicidio di Edoardo, nel 2000 - che nel giugno del 2007 ha deciso di impugnare il testamento chiamando in causa, oltre agli esecutori Franzo Grande Stevens e Gianluigi Gabetti, anche la madre Marella Caracciolo e, indirettamente, il primogenito di primo letto, John Elkann. Sostiene Margherita che Gabetti e Grande Stevens non le avrebbero mai fornito una fotografia esatta dell’asse ereditario del padre. E lei ne avrebbe avuto sacrosanto diritto. In realtà ogni abbozzo di contesa sembrava cessato fin dal settembre del 2004, quando fu firmata la pace con una spartizione che assegnava a Margherita il patrimonio immobiliare e artistico; ai suoi figli John, Lapo e Ginevra Elkann e alla nonna Marella il controllo del 30% della Fiat. Il senso: Margherita (e i suoi cinque figli nati dall’attuale marito, Serge de Pahlen) fuori da Fiat. Il cui timone spetta, per volere dell’Avvocato, al nipote Jaki Elkann. L’accordo, firmato quando Fiat valeva in Borsa 7 miliardi, è poi stato contestato da Margherita 3 anni dopo (quando la Fiat valeva 19 miliardi di più, grazie al boom di Marchionne). E si è aperta la causa, la cui udienza decisiva è a questo punto imminente: il 30 giugno.
E ieri si sono conosciute per la prima volta le memorie presentate al giudice. Dalle quali emerge la ricostruzione choc dell’asse ereditario, fatta da Margherita e dai suoi consulenti e legali: all’appello dell’eredità mancherebbero almeno 1,4 miliardi, patrimonio estero dell’Avvocato, di cui Gabetti e Grande Stevens avrebbero taciuto l’esistenza. Ma quel che appare ancora più grave, perché gravemente lesivo della memoria del padre, è il sistema, descritto nella memoria, utilizzato per accumulare tale tesoro: una serie di operazioni finanziarie che tra il 1998 e il 1999 avrebbe permesso a Gianni Agnelli di entrare in possesso della fortuna della società lussemburghese Exor attraverso false intestazioni fiduciarie ed evasione fiscale. Una bomba. L’intento di Margherita è certo quello di avere il resoconto completo dell’eredità. Ma in questo modo gli schizzi arrivano ora molto più lontano. Fino a contraddire le convinzioni stesse di Margherita che, in un’intervista a «Panorama» del 2007, parlando di suo padre ne ricordava il «senso dell’onestà, la trasparenza, la correttezza...». In altri termini è un altro Avvocato quello che emerge da queste carte. Le quali - ammesso che siano corrette, e lo stabilirà il giudice - dipingono il profilo di uomo per nulla superiore alle basse tentazioni del «popolino», piuttosto che alle sofisticate furbate dei piccoli finanzieri o imprenditori che evadono il fisco, falsificano documenti, esportano valuta illegalmente, e chi più ne ha più ne metta. Un Avvocato troppo «normale», in fin dei conti, per essere vero.
È una brutta storia, ormai vicina all’aula del Tribunale, che comunque andranno le cose, ha già distrutto tanto.

Come, peraltro, accade nelle migliori famiglie.

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