«Ergastolo per Amanda e Lele» E in aula scorre il film del delitto

BUGIE La Knox: «Non è vero che odiavo Mez. Lei era gentile con me e la consideravo un’amica»

«Ergastolo per Amanda e Lele» E in aula scorre il film del delitto

«Ergastolo per Amanda Knox e Raffaele Sollecito». La pm Emanuela Comodi, sveste i panni della «regista» e rimette quelli dell’accusa. L’aula della Corte d’Assise di Perugia riaccende le luci.
Il film è finito, davanti ai giurati le immagini virtuali dell’omicidio di Mez si spengono lasciando il giallo a metà. Con un punto di domanda. Colpevoli o innocenti? Toccherà a loro, ai giudici popolari oltre ai due togati, dare una risposta a quell’animazione realizzata con immagini digitalizzate e reali che vuole ricostruire - secondo il teorema della Procura - il chi e il perché della morte di Meredith Kercher. Era la notte tra il 1° e il due novembre 2007.
Amanda, con la sua felpa rossa griffata «Beatles» evita di guardare le sequenze che scorrono sullo schermo. Venti minuti a girarsi dall’altra parte. Raffaele, il suo (ex?) fidanzato e coimputato, invece, osserva attento.
Un delitto ricostruito al computer, dove si vede la casa di via della Pergola attraverso le mappe computerizzate di Google. Poi il «cameraman» entra, inquadra un finto Sollecito e l’altrettanto finta Amanda seduti in cucina, mentre poco dopo Meredith esce di casa. Imputati e vittima riprodotti in figure digitali sono stati ricostruiti come gli originali.
Nel video scorrono le ore precedenti l’uccisione della studentessa inglese e quindi si vedono la giovane americana, Sollecito e Rudy Guede entrare nell’appartamento dove già si trova Mez. Poi la colluttazione e l’aggressione alla quale - secondo i pm - hanno partecipato i tre (Rudy Guede è gia stato condannato a 30 anni, ndr). Immagini stile «cartoon» affiancate a quelle reali, come le foto dell’autopsia o del pavimento insanguinato in camera della Kercher. Con la scena proposta da diverse angolazioni, in singoli fotogrammi o in una animazione.
«Meredith era mia amica, non la odiavo. È assurdo che si dica che volevo vendicarmi con un’amica che è stata molto gentile con me» dirà, sconvolta, la bella americanina venuta da Seattle abbracciando in lacrime la sua avvocatessa.
L’altro pm dell’accusa, Giuliano Mignini, intanto rincara la dose. «Nel processo hanno trovato piena conferma i capi di imputazione». Si spinge nel profilo psicologico dei due imputati già tratteggiato da un criminologo ed esperti vari. «Di Amanda - dice il pm - sono stati posti in evidenza l’accentuato narcisismo, la rabbia e la notevole aggressività, la manipolazione e la teatralità, la tendenza alla trasgressione, la scarsa empatia e anestesia affettiva, la tendenza a dominare il rapporto con soddisfacimento repentino dei bisogni immediati, la tendenza a sviluppare casi di antipatie nel caso in cui interagisca con persone che non condividono le sue idee o che si presentano molto competitive, profondo sentimento di noncuranza dei dettami dell’autorità verso cui tende a difendersi con atteggiamenti in termini di occulta sfida».
Insomma, secondo l’accusa, la «mente» un «mostro» con la faccia d’angelo. Da cui Raffaele era dipendente. «In Sollecito ho notato una notevole freddezza e, secondo il criminologo che l’ha studiato, si possono evidenziare per lui tratti di personalità dipendente, in quanto timoroso di esprimere disaccordo per paura di perdere il supporto. Si è reso disponibile da succube ad affrontare anche situazioni spiacevoli pur di ottenere l’approvazione degli altri e di Amanda».
Rudy Guede, secondo, la Procura sarebbe solo l’anello debole del diabolico terzetto. «Lui almeno qualche barlume di pietà lo ha avuto, si è trattenuto, ha cercato di tamponare il sangue delle ferite di Mez, non ha calunniato nessuno».
Mentre Amanda piange, l’ingegnere di Giovinazzo, attonito, uscendo dal Tribunale parla per bocca del suo legale. «Mi sembra di vivere in un altro mondo ed è del tutto irreale. Io quella sera stavo a casa mia».


Il 27 novembre si ricomincia. Sarà la volta degli avvocati di parte civile. Poi toccherà ai difensori dei due ragazzi. Quindi agli inizi di dicembre la sentenza. Con un’unica certezza: qualunque essa sia nessuno sarà mai certo della verità.

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