Stefano Zurlo
da Milano
La domenica sotto i riflettori di Erika divide lopinione pubblica. Il suo volto sorridente sul campo di pallavolo è finito su tutti i giornali e puntuali come un treno svizzero arrivano le polemiche. «In Italia - spiega il criminologo Francesco Bruno - si è smarrita la coscienza della pena e il suo valore afflittivo». È il caso di Erika?
In realtà la ragazza, oggi ventiduenne, ha lasciato il penitenziario di Verziano (Brescia) per meno di otto ore: la messa a Buffalora, frazione di Brescia, la partita a volley, il pranzo prima di rientrare in carcere. Solo che i fotografi, imbeccati, lhanno immortalata. E il volto della giovane che cinque anni fa uccise la madre e il fratellino è passato in tv.
LUisp (Unione italiana sport per tutti) che ha promosso lopen day di Buffalora, prova a ridimensionare il clamore: «Erika De Nardo è una detenuta come tutte le altre e ha uguali diritti ad attività di recupero. Occorre assicurare condizioni di vita dignitose in carcere. A maggior ragione per i minori». In effetti dal punto di vista della legge non è accaduto nulla di strano: il tribunale di sorveglianza per i minori di Brescia ha pesato gli elementi e ha concesso il permesso premio. Erika ha «tenuto regolare condotta» e ancora «non può essere considerata un soggetto di particolare pericolosità sociale». Quindi via libera anche se il magistrato, consapevole di pattinare su una vicenda scivolosissima, si è cautelato corredando il provvedimento con una garanzia: la presenza a Buffalora di una scorta. Così è stato.
Ma proprio quegli scatti hanno fatto uscire il match fra amiche dal perimetro delloratorio. E su questo riflette Livia Pomodoro, presidente del tribunale per i minori di Milano: «Io distinguerei. Può essere benissimo che la gita a Buffalora sia utile per Erika e faccia parte di un percorso di rieducazione e di ritorno ad una vita normale. Ma poi cè la dimensione pubblica di quello che è diventato un avvenimento: le immagini di Erika che alza la palla possono ferire, cancellano quel senso di pietas che ogni civiltà dovrebbe avere. E infine noi non sappiamo quali effetti tutto questo carosello mediatico possa avere sulla testa della giovane». «È uno sbaglio - rincara la dose Antonio Marziale, Presidente dellosservatorio per i diritti dei minori - quello di tramutare un momento di libertà in evento mediatico, nocivo per Erika, chiamata a ricostruire la propria identità».
Già, chi è Erika oggi? Certo, la concessione del permesso premio ci rassicura sul suo comportamento e sappiamo anche che la ragazza, condannata a 16 anni, si è diplomata come geometra e si è iscritta alluniversità. Segnali positivi ma che, purtroppo, non bastano. «Qui - nota lavvocato Mario Boccassi, difensore della giovane - ci si dimentica della sentenza dove è scritto a chiare lettere che Erika ha un grave disturbo della personalità. E allora il problema è come curarla e darle un supporto psicologico adeguato. Un trattamento garantito in passato, quando Erika era al Beccaria a Milano, ma a rischio adesso che è in un carcere per adulti. Questo polverone può farle male: qualcuno la giudicherà, qualcuno troverà disdicevole il suo atteggiamento e via elencando». Risultato? «La sua guarigione si allontana pericolosamente nel tempo».
Si avvicina, invece, il giorno in cui Erika potrebbe lasciare il carcere: «Fra tre anni, dopo otto di pena scontata, Erika potrebbe aspirare alla semilibertà - prosegue Bruno - e poichè il nostro sistema penale è costruito per perdonare i minori quasi sicuramente la faranno uscire». Ma il criminologo condivide la preoccupazione di Boccassi: «Il problema è che una sentenza folle ha mischiato le carte.
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