Politica

Gli eritrei? Fuggivano da marxismo e islam

Dietro la disperazione dei cinque soppravvissuti alla strage nel Canale di Sicilia c'è la storia dell'Eritrea. Il Paese è dominato da un tiranno chje si definiva comunista. E che è tra i più feroci persecutori dei cristiani

Guardando quei poveri scheletriti eritrei soccorsi (soccorsi!) a Lampedusa è chiaro: il male del mondo è la disumanità. Bisogna rimediarvi, accarezzare, lenire le pene. Guardando la vicenda di questi cinque sopravvissuti si può dire qualcosa di più specifico: la disumanità oggi ha il timbro principale del marxismo e dell’islamismo la cui congiunzione partorisce l’orrore. E ci sono responsabilità. Anche italiane. E soprattutto cecità. Altro che - come fa con la bugia sistematica la sinistra - incolpare il governo. C’è di mezzo una complicità sistematica con un tiranno. Dunque: occorre lenire i dolori dei sopravvissuti, ma anche fare in modo che il tiranno cada. Come? La prima mossa è conoscere la realtà, giudicarla. Ad esempio, l’Europa dovrebbe sapere alcune cose su Malta, da poco entrata nella Ue. Riguardando alcune vicende che riferirò tra un momento si capisce benissimo perché Malta non abbia accolto gli eritrei. E come gli eritrei temessero i maltesi.

Il tiranno
Il tiranno di Asmara si chiama Ysaias Afewerki. Viene spesso in Italia, visite private, ha molti amici, nessun rompiscatole che lo tormenti con i megafoni. In fondo è un compagno. Negli anni ’80 era trattato come una specie di eroe della libertà. In quegli anni capeggiava il Fronte per la liberazione dell’Eritrea. Era una giusta resistenza all’invasore etiopico. Al movimento aderivano tutti, destra e sinistra, cattolici e no. Ottenuta l’indipendenza Afewerki, che sosteneva di essere un comunista liberal, divenne islamico. E fece ciò che avrebbero fatto i comunisti in Italia nel 1945 se non ci fossero stati gli americani e Yalta. Prima coinvolse alcuni alleati nel governo, poi li eliminò. La caccia dura ancora. Per tenere il tallone sul collo del popolo lo tiene costantemente in guerra, la leva militare non ha fine salvo la morte in guerra o in gulag.
Visitai quel Paese, che è così italiano, nelle sue architetture da colonia mussoliniana, nel 1987. Fui il primo e l’unico ad arrivarci da Addis Abeba. Vidi meglio. Capii di più. I guerriglieri del fronte di liberazione partivano dal Sudan e affrontavano e spesso sconfiggevano i militari etiopici. Fino a quel momento la guerra era stata raccontata partendo da dietro il fronte, in Sudan. Dalla parte degli irredentisti - marxisti, musulmani, cattolici: di tutto - ma eritrei nelle ossa tutti quanti. Una lezione: mai allearsi con marxisti e musulmani, se non sei più forte di loro e più cattivo di loro. Impossibile, quest’ultima cosa.
Io volevo muovermi dall’Etiopia, mi interessava vedere come si vive la guerra dall’altra parte e poi magari spostarmi sull’altro fronte. Chiesi una mano ad amici in Vaticano, qualche buon indirizzo. Dopo qualche tempo mi avvicina un imprenditore romano, un grossissimo costruttore. Avevamo un monsignore amico comune. Mi invita a Roma e mi dice più o meno. «Senta, io le offro ospitalità e ogni appoggio. Ma io ho bisogno di un aiuto umanitario da parte sua. Devo costruire un ospedale in Eritrea, ed è una succursale dell’Ospedale del Bambin Gesù. Lei dovrebbe trovare il responsabile del movimento di liberazione eritreo in Italia e accompagnarlo da me. Voglio trattare con loro. Non devono ostacolare la costruzione dell’ospedale e altre opere che ho in ballo lì».
Mi pareva matto. Il monsignore mi disse: guarda che è una persona seria, la cosa è importante. Ci misi un mesetto a capire chi era il capo. Era un francescano, un cappuccino eritreo. Un uomo magnifico. Venne con me a Roma. Non so come andò il colloquio. Non lo chiesi. Ed io partii. Avevo un documento che attestava io fossi un imprenditore per arrivare ad Addis Abeba e visitare gli insediamenti che, con l’aiuto dei fondi italiani per la cooperazione, Menghistu aveva realizzato in mezzo alle foreste vicino al Lago Tana, sull’altipiano di Amhara. Conobbi dei falasha, ebrei di colore, che erano stati deportati lì e acquistai delle statuine che conservo gelosamente. Parlai con preti copti che sapevano a malapena leggere e scrivere. Poi cercai il visto per l’Eritrea, per Asmara. Impresa impossibile, finché non ottenni un documento della Caritas: ero della Caritas, potevo andare.
Avevo un abboccamento con un francescano. Con la jeep ci spostammo dall’Asmara verso Keren. La strada, in questa antica colonia italiana, disegnava salendo la M di Mussolini, con opportuni tornanti. Ero il primo italiano che arrivava dopo molti anni da quelle parti. Con il lasciapassare della Caritas stavamo fermi nella terra di nessuno: da una parte i guerriglieri eritrei dall’altra i soldati etiopici. Poveretti tutti e due. Vedevo arrivare al fronte questi ragazzi ignari che esistesse l’Eritrea, avevano i jacaranda nei fucili e cantavano. A Keren c’era un grande albero cavo, che era stato un tempo sacro agli alpini. In hotel, l’unico, il cameriere aveva un perfetto accento torinese, e mi chiese se esisteva ancora in Italia il vermouth Carpano. Gli dissi di sì e fu felice: tutto era come doveva essere.

I giuda maltesi
Avevo visto la fame in Etiopia e in Eritrea. Stavo con i miei amici eritrei, i cappuccini. Mi parlarono del capo della guerriglia, Ysaias Afewerki, con ammirazione. Un fratello salesiano piemontese, più saggio, mi indicò però i minareti dell’Asmara, e disse che sarebbe diventato da cristiano un Paese musulmano: gli yemeniti compravano case e terreni, pagavano le conversioni all’islam.
Il mio amico cappuccino italo-eritreo, figlio di un ascaro, ha avuto un dolore immenso, mi dicono sia proprio morto di dolore. Erano espatriati dall’Eritrea alcuni ragazzi. Furono considerati disertori, essendo l’Eritrea sempre in guerra. Erano congelati a Malta. Lui andò a perorare la causa di questi ragazzi, perché non fossero rimpatriati: li avrebbero fucilati. Non riuscì ad evitare l’estradizione, e furono giustiziati. Di questo andrebbe chiesto conto a Malta. Perché? Reminiscenze da Internazionale socialista?
Massimo Alberizzi ha raccontato l’inferno eritreo. Ha citato Amnesty. Ha però glissato sulla persecuzione anticristiana. Sono il 50 per cento dei quattro milioni di eritrei.
Mi fido di più di Radio Vaticana, dell’agenzia Zenit e dell’Aiuto alla Chiesa che soffre. Trascrivo: «Dopo un recente Rapporto del Dipartimento di Stato americano, fonti nella regione descrivono il Paese come stretto nella morsa della crisi alimentare, con il Governo che impedisce alla popolazione di accedere alle risorse fondamentali. I resoconti, i cui autori non possono essere rivelati per ragioni di sicurezza, affermano che le autorità hanno bloccato il trasferimento di cibo da una regione del Paese all’altra, hanno bandito i mercati all’aperto che vendono cereali e condotto ispezioni casa per casa alla ricerca di prodotti «ottenuti illegalmente». «L’Eritrea è in ginocchio in termini di produzione alimentare», afferma il rapporto di Acs (Aiuto alla Chiesa che Soffre), sottolineando la gravità della scarsità dei raccolti a causa della siccità. «Si sta arrivando alla distruzione e al completo isolamento del Paese», aggiunge il testo, che accusa il Governo di rifiutare gli aiuti esterni nonostante siano disperatamente necessari. Molti abitanti dell’Eritrea si rifugiano a sud, in Etiopia, dove Acs sta aiutando circa 20.000 rifugiati che hanno trovato alloggio in due campi nella zona settentrionale del Paese. A questo proposito, l’associazione sottolinea la necessità di avere dei mezzi di trasporto per portare derrate alimentari attraverso le zone montuose fino ai campi di rifugiati. «Possiamo solo iniziare a immaginare l’incubo che sta avvolgendo l’Eritrea - ha affermato un portavoce di Aiuto alla Chiesa che Soffre -. La popolazione ha urgente bisogno delle nostre preghiere e del nostro sostegno». Particolare preoccupazione viene poi espressa per gli abusi dei diritti umani contro i cristiani. Come descrive il Rapporto del Dipartimento di Stato Usa sui diritti umani del 2008 nel Paese, le forze di sicurezza hanno usato schiavitù, esposizione al calore e maltrattamenti per punire le persone arrestate per le loro convinzioni religiose (circa duemila, ndr) che sono state costrette a firmare dichiarazioni in cui rinnegano la propria fede. A volte sono state trattenute in container metallici sotterranei. Anche se la Chiesa cattolica è uno dei quattro gruppi religiosi approvati dal Governo, lo scorso anno circa una dozzina di sacerdoti e di suore è stata espulsa dall’Eritrea, in molti casi senza alcun avvertimento. Nel giugno 2008, il Governo si è impossessato delle proprietà della Chiesa cattolica. Le organizzazioni per i diritti umani e i gruppi religiosi si sono espresse in modo sempre più deciso sui «crimini contro l’umanità» da parte del regime del presidente eritreo, Ysaias Afewerki. Il Patriarca Antonios, leader della Chiesa ortodossa eritrea, il gruppo religioso principale del Paese, è stato posto agli arresti domiciliari e all’inizio del 2007 Dioskoros Mendefera è stato annunciato come suo successore in una nomina considerata da più parti «una decisione governativa». (Radiovaticana).

Appello a Venditti
Il Consiglio d’Europa vede solo omofobia e islamofobia, la cristianofobia no. In Italia si è riusciti ad accusare l’Italia e il governo Berlusconi invece che ricordare questa infamia.
Una volta Antonello Venditti scrisse reportage meravigliosi sull’Eritrea liberata e sul tiranno suo amico. Tv Sorrisi e Canzoni, nel 1992, ospitò una pagina del suo diario da Keren. «Quello che ho visto ha qualcosa di miracoloso. Questo Paese ha conquistato la libertà da nemmeno un anno e in giro non si vedono né soldati né uomini armati. Stiamo assistendo alla nascita di uno Stato».
Poi si è coraggiosamente corretto. Si è pentito in pubblico. Ha detto che Ysaias è ormai un ex amico, ne è profondamente deluso, e non si occupa più di Eritrea ma di Sierra Leone. Ma come? Proprio quando è più necessario stare con i calpestati e i reietti cambi giostra, Antonello? Io ti proporrei questo. Prendi in mano ancora la bandiera dell’Eritrea.

Per quel che mi riguarda, anche io.

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