Roma - Hanno cominciato a sentirsi male verso le cinque del pomeriggio, chi più chi meno, subito dopo sono comparse chiazze sulla pelle ed eritemi di primo grado, infine gli occhi hanno cominciato a gonfiarsi e a bruciare. In trenta, tra attori e tecnici, sono finiti al Pronto soccorso del Policlinico Umberto I, lo stesso nel quale stavano girando una delle puntate della quarta serie di «Ris» (la si vedrà a febbraio su Canale 5). L'ospedale romano, tristemente noto per inefficienze, sporcizie e controlli alla carlona, stavolta non sarebbe responsabile. In vista delle riprese, la Taodue, che produce, aveva delegato a una ditta la pulizia di una vecchia sala in disuso da due anni, affittata per ambientarvi le scene di medicina legale. Insomma, l'obitorio dove, un po' alla maniera di «Csi», regna la dottoressa Morandi, interpretata dall'attrice Gea Lionello. Ma qualcuno deve aver esagerato nell'uso di sostanze chimiche. Così, mentre davanti alla cinepresa la bella anatomopatologa descriveva al maresciallo Ugo Dighero e alla carabiniera new entry Giorgia Surina i risultati di un referto autoptico, s'è capito subito che qualcosa non andava nell'aria. Non era una questione di calore legata ai proiettori. Risultato: riprese sospese (si riprende a settembre), tre giorni di malattia per tutti, parecchia paura e tanto malumore per quanto è accaduto. C'era chi protestava: «Ma si può lavorare in queste condizioni?».
Il giorno dopo, passata la notte movimentata, Gea Lionello è disposta a raccontare l'esperienza. Porta una benda sugli occhi, per via della lesione alle cornee, e mostra le ustioni su collo, braccia e décolleté. Sul tavolo pomate al cortisone e altre farmaci. «È come se mi fossi rosolata al sole siciliano per sei ore di seguito, invece stavo girando un film per la tv. Il colmo». L'attrice è comprensibilmente arrabbiata, ma alla fine le scappa un sorriso sdrammatizzante. «Mi sembrava di essere in una puntata di «E. R.». Io stesa su una barella, vestita da medico e con gli aghi nelle vene, le persone attorno che mi riconoscevano e facevano le domande più strane, non capendo, e intanto la pelle bruciava sempre di più, gli occhi si appannavano. Sono stata l'ultima ad andarmene, al termine di una serie infinita di analisi. Quel cavolo di reagente chimico doveva avercela proprio con me».
In realtà, la sostanza detergente, forse trasformatasi in vapori di acido, ha messo ko parecchie persone della troupe capitanata dal regista Fabio Tagliavia. Alla fine, ragionevolmente, nessuno è voluto tornare in quella sala «travestita» da obitorio: è rimasto solo il lenzuolo che copriva il finto cadavere della ragazza pakistana uccisa dal padre per via di un amore «vietato» (storia ispirata alla cronaca). «Niente di grave, neanche un ricovero, però è stata una brutta esperienza. Nessuno di noi ha sentito un odore particolare, ma c'era chi avvertiva nausea, senso di mancamento, vertigini. Ho deciso di chiuderla lì», spiega l'organizzatore del set Luciano Lucchi. «Non saprei proprio a chi dare la colpa, vedremo. Probabilmente ci saranno complicazioni legali. Certo siamo costernati e dispiaciuti. Per due anni abbiamo girato in un'altra sala, all'ospedale di Tor Vergata, ma questa ci sembrava più bella, scenograficamente più adatta».
Commenta il produttore
Pietro Valsecchi: «Sono preoccupato, anzi decisamente arrabbiato. Il veleno è dappertutto. Domani i Ris veri faranno un sopralluogo per capire l'origine di questa vampata. Spero davvero di capirci qualcosa. Poi le dirò».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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