Leggenda, è già leggenda. Un capolavoro costruito a San Siro e cesellato al Camp Nou. Malgrado l’1-0 (gol di Piqué all’84’) subìto dal Barcellona, il 22 maggio l’Inter sarà a Madrid a giocarsi la coppa con le grandi orecchie. A 38 anni di distanza dalla partita che la vide soccombere a Rotterdam contro l’Ajax, 45 anni dopo il trionfo di Milano contro il Benfica. Lo fa con l’autorità che è riuscita a imporre alla squadra considerata (fino alle 22.39 di ieri) la più forte del mondo. Lo fa incurante dell’inferiorità numerica dovuta alla cacciata (giusta) di Thiago Motta. Lo fa con la superba indifferenza con la quale ha affrontato l’inferno del Camp Nou.
Davanti a un’Inter extraterrestre, il Barça è apparso fin troppo umano. A Mourinho, filosofo stratega e stregone, è riuscito l’incantesimo: paralizzare Ibra, irritante nella sua pochezza, e trasformare Messi in un Recoba forse un po’ più spauracchio ma ugualmente inutile.
Ora Mou si trova davanti «un grande bellissimo problema» (parole sue): raggiungere quel traguardo dei tre tituli finora miraggio per ogni squadra italiana. Soffiare la Champions al Bayern, conquistare lo scudetto e aggiudicarsi anche la Coppa Italia. Anche se, davanti alla partita di Madrid, il resto sembra più piccolo. Nello sport, nel calcio in particolare, si misura tutto sulle vittorie. Anzi, sul loro numero.
Dopo la dimostrazione di forza, la lezione inferta ai temutissimi blaugrana, alzare la coppa con le orecchie non è più un sogno proibito. Certo, è ancora un sogno, ma alla portata di quest’Inter concreta come mai. Mourinho ha regalato a Massimo Moratti una finale degna del padre Angelo. E il presidente nerazzurro ha forse trovato il suo «Mago».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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