(...) Ecco. Cè chi dice che il Piccolo è dispersivo, che tre palcoscenici a Milano sono troppi.
«Sbaglia. Anche perché i palcoscenici sono quattro. Cè il mondo. Solo nella scorsa stagione 240 recite in tournée. E 280 di spettacoli esteri a Milano».
Vuol dire che siete un vero teatro dEuropa?
«Nel 2006 portiamo lArlecchino in Cina. Non sono mai stato forte in geografia».
Lestero come una vocazione di Milano e del Piccolo?
«Non cè unattività e poi lapertura agli altri come unaggiunta. Tutto deve crescere insieme, come per il Piccolo è stato fin dallinizio. Alla base di tutto ci devessere una grande curiosità. Strehler nel 97 chiedeva più apertura».
Cè chi vorrebbe vedervi mandare allestero nuove produzioni.
«In sette anni con Ronconi abbiamo messo in piedi 6.500 giornate di recite, 30 nuove produzioni, 2.800 spettacoli, 140mila abbonamenti. Lidea del teatro darte per tutti. E il tutto con 70 dipendenti fissi e gli altri scritturati».
Ci vorrebbero sempre più risorse.
«Si dice sempre che il problema sono i soldi. In realtà la questione va posta in termini diversi».
Poniamola.
«La politica deve avere unidea di cosa devessere la ricollocazione di Milano».
Qualche suggerimento?
«Scambi, cultura, per Milano un ruolo nazionale e internazionale. Se si hanno un modello di sviluppo e una grande strategia, le risorse arrivano. La cultura non devessere la majorette che entra in campo fra i due tempi che giocano le grandi forze economiche. Deve giocare la partita. Le idee generano risorse».
Ottimista.
«A Pechino i cinesi producono calzini a basso costo con cui ci invadono, ma traducono Goldoni, Una carta che dobbiamo saper giocare. Nello scambio la cultura è destinata a contare sempre di più. E Milano può giocare un ruolo fondamentale».
Si inizia a parlare di marketing urbano.
«Cominciamo a mettere a Malpensa e Linate i cartelli con lindirizzo dei teatri».
Un consiglio per la prossima stagione?
«Madre coraggio di Brecht. Robert Carsen è un gran personaggio».
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