da Milano
Non si contano i ministri che hanno «governato» la Funzione pubblica negli ultimi 15 anni, e non si contano neppure gli annunci di «blocchi totali» delle assunzioni, puntuali a ogni stagione, minacciosi e naturalmente «questa volta senza deroghe». Eppure il numero dei dipendenti pubblici in Italia non diminuisce mai. Anzi, aumenta: di poco, complice anche un esercito di contratti a termine, ma aumenta. Nel 2002, l’Ocse ne aveva contati 3,1 milioni. Secondo le ultime stime, adesso sono 3 milioni e mezzo. E costano allo Stato oltre 140 miliardi di euro.
Come sono divisi? Più della metà dipende ancora dalle amministrazioni centrali. Ben 240mila sono impiegati direttamente nella «gestione» dei diversi ministeri, 460mila sono impegnati sul fronte della sicurezza, dalla Polizia alle Forze armate, dalla magistratura ai vigili del fuoco. Un milione e duecentomila i dipendenti del ministero dell’Istruzione, 650mila quelli nel «comparto» sanità. Le amministrazioni locali, che pure stanno «lievitando» per dimensioni e competenze, occupano meno di un milione di lavoratori.
Le donne sono più degli uomini. Rappresentano il 53% del totale del pubblico impiego e il 75,5% del personale scolastico, ma meno dell’1% dell’esercito. Molti anche i laureati, il 30% del totale (e la percentuale cresce tra i più giovani).
Troppi? Inutili? Fannulloni? La polemica contro gli sprechi della pubblica amministrazione è vecchia quanto l’Italia unita. Una volta tanto, però, non vale la regola che «nel resto d’Europa le cose vanno meglio». In Germania e Spagna il rapporto tra «statali» e cittadini è lo stesso che da noi: 56 ogni mille. E in Francia il rapporto è ancora più alto: 79 a mille. Ovvero, su 60 milioni di francesi quasi 5 milioni sono dipendenti pubblici.
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