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Esistono già, ma non si chiamano «gabbie»

INTESA Nel Libro Bianco del 2009 del ministro Sacconi si parla già di «parametro territoriale e decentramento»

«Legare i salari ai diversi livelli del costo della vita fra Sud e Nord risponde a criteri di razionalità economica e di giustizia». Le affermazioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ripropongono il tema della differenziazione delle retribuzioni su base territoriale (semplicisticamente chiamate «gabbie salariali»). Argomento sul quale ha insistito anche il ministro della Semplificazione Calderoli, dopo la pubblicazione di una ricerca di Bankitalia che evidenzia come al Sud il costo della vita sia inferiore del 16,5% rispetto al Nord.
Ma nel 2009 come si può affrontare il problema? Basta riprendere il Libro bianco sul Lavoro del titolare del Welfare Sacconi approvato dal Consiglio dei ministri nello scorso maggio. «Il parametro territoriale - si legge nel documento - costituisce un necessario riferimento per la giustizia distributiva tanto con riferimento ai salari quanto ai criteri di accesso e alla dimensione delle prestazioni assistenziali». D’altronde, lo stesso Sacconi nel porre fine alle polemiche politiche suscitate dalle affermazioni di Calderoli aveva ricordato come «il governo ha collegialmente voluto promuovere il decentramento della contrattazione».
L’accordo tra le confederazioni sindacali dello scorso aprile, che fa seguito alla riforma della contrattazione promossa da Sacconi e da Brunetta (allo scopo di tenere assieme pubblico e privato, ndr) prevede, infatti, «indicatori a livello territoriale» per i contratti stipulati su base territoriale. È implicito, dunque, considerare il costo della vita tra le variabili prese in esame considerato che il governo Berlusconi ha stimolato la parte aziendale e territoriale della contrattazione rispetto a quella nazionale che è più omologante. Tutto questo ragionamento, però, non può mettere in secondo piano la vera rivoluzione che è quella del merito: ossia la prevista detassazione delle parti di salario collegate al raggiungimento di specifici obiettivi individuali o collettivi di produttività o di profitto. Dunque, come sostiene il ministro del Welfare, «si tratta di sollecitare le parti sociali a concludere contratti collettivi nazionali coerenti con il nuovo modello».
Questo è il motivo per il quale il termine «gabbie salariali» può ritenersi superato. Insomma, con il governo Berlusconi sarà difficile rivedere reintrodotto - per legge - un principio di discriminazione delle retribuzioni su base territoriale come quello attuato a partire dal 1954 con l’accordo sul «conglobamento retributivo» che divideva l’Italia in 14 zone. Diventate sette con i successivi accordi del 1961 quando la diminuzione dello scarto tra la prima e l’ultima scese dal 29% al 20.
Le «gabbie» furono definitivamente abolite in seguito agli scioperi del biennio 1968-1969 e l’eliminazione si concretizzò nei primi anni ’70 con la stipula dei nuovi contratti da parte di Intersind (che rappresentava le aziende pubbliche) e di Confindustria.

Anche se - sottotraccia - continuarono a esistere fino agli anni ’90 sotto forma di sgravi sul costo del lavoro offerti dalla Cassa per il Mezzogiorno a chi assumeva al Sud.

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