Conservatore d'avanguardia, Giuseppe Prezzolini (1882-1982) incarna una posizione (a)politica oggi del tutto attuale, per non dire magistrale. Il conservatore non è ostile alla novità per partito preso. Semplicemente non è disposto ad ammettere che una cosa sia buona solo perché riscrive o ribalta o corregge il passato. Soprattutto, il conservatore rifiuta di piegarsi alle mode culturali. Tutto deve essere vagliato con attenzione e dimostrare di resistere al passare del tempo. L'intellettuale progressista è l'uomo del domani. Il conservatore, invece, è l'uomo del dopodomani. Guarda indietro per essere più moderno dei moderni.
La monumentale biografia L'avventura di un uomo moderno. Vita di Giuseppe Prezzolini (Garzanti, pagg. 1226, euro 48) firmata dallo storico Emilio Gentile, da qui in avanti fa testo: è una pietra miliare fondata su una mole spaventosa di documenti inediti.
In Prezzolini c'è qualcosa di davvero particolare: uno scetticismo totale conquistato a fatica. Realismo puro, che in politica deve molto a Niccolò Machiavelli, alla quale Prez dedicò una biografia che, a ben vedere, è una autobiografia. C'è un episodio che nella sua apparente modestia spiega Prezzolini. Da giovane, si era immedesimato con il superuomo di Nietzsche. Salvo ricredersi per un motivo che possiamo sintetizzare così: se sono un uomo divino, perché ho il mal di denti tutti i giorni?
Da qui in avanti, Prez, nei suoi diari e nelle sue lettere, sembra quasi sforzarsi di confinarsi tra i mediocri. Non è understatement o falsa modestia. È uno stile di vita perseguito con costanza, forse per mettersi al riparo dalle delusioni. Mentre si descrive come un semi-fallito, Prez realizza imprese clamorose, all'opposto della mediocrità.
Autodidatta di buone letture e non studente iscritto per passione alle lezioni di filosofia alla Sorbona di Parigi, Prezzolini è ancora un ragazzino quando fonda La Voce (1908) insieme con il suo miglior amico, Giovanni Papini. È tuttora la rivista politico-culturale più importante mai pubblicata in Italia. Era militante, anti-retorica, anti-accademica, pensata per "fare gli italiani" e non per celebrarli. La parte letteraria, di altissimo livello, si distingueva per la ferocia (argomentata) contro i falsi idoli, ad esempio Gabriele d'Annunzio. Qualche collaboratore, per gradire: Benedetto Croce , Ardengo Soffici, Giovanni Amendola, Gaetano Salvemini, Emilio Cecchi, Romolo Murri, Luigi Einaudi, Pietro Jahier, Scipio Slataper, Giustino Fortunato, Roberto Longhi, Renato Serra, e può bastare, anche se l'elenco non è affatto esaustivo. In sostanza, Prezzolini reclutò il meglio del meglio.
Temi: il nazionalismo, la questione meridionale, il trasformismo e l'affarismo della politica, il frammento lirico come vero genere letterario italiano, l'arretratezza delle università, la piaga dell'analfabetismo, il ruolo dello Stato nella economia, l'elitarismo.
Le riviste oggi non vanno più di moda perché sono un affare in perdita. Ma è quasi inutile notare che proprio la mancanza di un'autorevole rivista è uno dei più evidenti limiti della politica culturale del centrodestra. Una rivista non si fa per diventare ricchi. Si fa per legittimare, rafforzare e allargare il consenso. Attenzione: non è propaganda. Si tratta di far crescere, in tutti i sensi, la propria area, e di guidare il dibattito nazionale. L'on line non è una soluzione, nonostante alcuni esperimenti ben fatti in ambito letterario. Per ora viviamo in una società in cui il prestigio è ancora palma della carta stampata.
Interventista, Prezzolini si arruola nella Prima guerra mondiale e ne esce con il grado di capitano, conquistato sul campo. Il nascente fascismo lo affascina per la sua dimensione anti-borghese (e dunque anti-italiana). Ma appena Benito Mussolini arriva al potere, Prez leva le tende e si trasferisce negli Stati Uniti dove resterà a lungo. Insegna a alla Columbia University. Anche a New York, Prezzolini riesce a fare un paio di cosette "leggermente" in anticipo sui tempi. Compila una antologia di autori italoamericani, decenni prima che nascano i cultural studies. Qui Prez arriva così in anticipo da finire paradossalmente quasi dimenticato. Beh, oggi la letteratura dell'immigrazione è di gran moda. Inoltre è tra i primi ad accorgersi del potenziale di un nuovo mezzo, chiamato televisione. Pur intimorito dalla telecamera e dall'idea di entrare nelle case di mezza America, Prezzolini si butta. Si rivolge soprattutto agli immigrati italiani ma viene trasmesso in tutto lo sterminato Paese. Rimane molto colpito dalle televendite di vari oggetti. Molto americano. Scrive agli amici in Italia: presto sarete colonizzati da un nuovo strumento, la televisione, forse vi sarà risparmiata la pubblicità. Ottimista...
Negli anni Settanta, l'editore Rusconi diventa il maggior polo italiano della cultura conservatrice e reazionaria. Deus ex machina è il geniale Alfredo Cattabiani. Proprio Cattabiani ha un'idea: chiedere a Prezzolini di spiegare le sue idee politiche in un libro. Cattabiani ci mette le mani e impasta un saggio memorabile al quale affibbia un titolo decisivo per farne un successo: Manifesto dei conservatori. In un'epoca, gli anni Settanta, dove i conservatori venivano pestati a sangue o anche gambizzati.
Tra i principi intoccabili, lo scrittore mette al primo posto la proprietà privata. Lo Stato deve essere forte ma anche minimo: "dovrebbe limitarsi a provvedere, in modo tecnico perfetto, la sicurezza dell'indipendenza nazionale, le comunicazioni rapide e a buon mercato, l'igiene necessaria alla salute della popolazione, la scuola che sa scegliere i migliori, una vecchiaia non questuante, la cura delle malattie gratuite; e soprattutto dovrebbe offrire un corpo di giudici imparziali, un codice di leggi chiare, una esecuzione della giustizia rapida e poco costosa per tutti ed una stabilità che permetta ai cittadini di provvedere al futuro con una certa sicurezza". Insomma, lo Stato di diritto, che di solito è alla base delle democrazie liberali, per noi italiani è il fine quasi irraggiungibile.
Il conservatore di Prezzolini non guarda in faccia a nessuno, nemmeno ai conservatori stessi: "Il Vero Conservatore è persuaso di essere se non l'uomo di domani, certamente l'uomo del dopodomani". Astenersi dunque parrucconi e bigotti. Il Vero Conservatore "non è contrario alle novità perché nuove" ma "non scambia l'ignoranza degli innovatori per novità". Guarda indietro, per andare avanti. Cerca ispirazione nei "fondamenti della vita sociale" (proprietà privata, famiglia, patria e religione) al fine di trovare soluzioni adatte ai problemi del presente. La storia è cambiamento continuo ma una società libera sa trovare, da sola, le istituzioni sociali e i valori morali intorno ai quali raccogliersi e costruire il futuro. Il Vero Conservatore è realista. Si schiera per il permanente contro il transeunte, per il provato contro il teorizzato, per i provvedimenti graduali contro le utopie rivoluzionarie. Sorride di chi proclama l'uguaglianza degli uomini, alla quale preferisce la giustizia. Vuole la separazione dei meritevoli dagli incapaci. Crede nella competizione ma anche nelle pari opportunità.
Un vero conservatore, ribadiva Prezzolini in una intervista a Panorama del 1976, nell'Italia di oggi, in cui non c'è nulla o quasi da conservare, "sarebbe un rinnovatore". Il Manifesto dei conservatori lancia una sfida alla cultura di destra: per appassionare e cambiare la mentalità del Paese, deve mostrare anche lo spirito d'avventura che anima il vero conservatorismo in tutte le sue declinazioni. Prezzolini l'ha fatto.
Lo ha fatto, per molti versi, anche un altro eccezionale scrittore, editore, artista, giornalista e battitore libero: Leo
Longanesi, il "carciofino sotto'odio" (copyright Indro Montanelli). I suoi libri, per altro spiritosissimi, sui fallimenti della borghesia italiana dovrebbero essere obbligatori per chi oggi si proclama conservatore e liberale.