Un’estate in Rexton 6mila chilometri e una guida «fresca»

da Milano

Uno parte, per le vacanze intendo, alla riscoperta di terre lontane, tipo Salento che mi era vicinissima quando ero bimbo. Poi, strada facendo, scopre invece di avere a che fare con un’automobile non prevista, la Rexton II di marca coreana e con disegno nostrano, firma Giugiaro. Qualche anima grigia o nera mi aveva lanciato strani messaggi. Ora metto da parte il cassone, ne ho condotti di peggiori, ne ho visti di bruttissimi.
No, Rexton dunque ha un solo, vero grande problema: ricordarsi a memoria e saper pronunciare il nome della casa madre, Ssangyong va bene per un balbuziente di ovvie origini orientali ma per noi cittadini del Continente vecchio, abituati a roba corta, facile, chessò Fiat, Ford, Bmw (ma gli inglesi ci guardano terrorizzati con la loro «biemdabliu» e i padri tedeschi almeno si fermano come noi a biemve!), per noi europei, dicevo, quella sigla un po’ satanica, vampiresca, sanguinolenta (ssang) qualche timore in più non manca. Fatta la premessa da ignorante ritorno al dettaglio.
L’auto è di quelle toste, la guida è invece fresca, autorevole e anche autoritaria, si sta come su un pulmino per chi, come il sottoscritto, è abituato, da alfista, a stare rasoterra, a guardare sotto le gomme altrui, da Formula uno.
No, con la coreana, si sale, si guardano gli astanti dall’alto in basso, godendo della sicurezza del mezzo che esprime una potenza non prevista, scatto e tenuta, velocità e grinta, laddove chi scrive e legge diesel era abituato alla tradotta o alla terza classe fumatori. In un mese e mezzo ha macinato oltre seimila chilometri, così, quasi senza accorgersi di avere fatto su e giù per l’Italia.
La coreana qualcosa beve, se soltanto la solleciti oltre il dovuto, ma ripensando alle mie Alfe e anche Romee qui è roba di lusso. Il motore tedesco, nel senso di Mercedes, si fa sentire.
Ho letto sui vari forum del settore commenti dolci e parole acide, paragoni e paralleli eppoi i forum, spesso e malvolentieri si trasformano in ricettacoli. Non entro nel merito, ci sono critici ed esperti che sanno, dicono e scrivono in merito. Mi limito a segnalare pensieri e sensazioni: un totale positivo, nel conforto (all’italiana, per favore), nelle prestazioni ebbene sì anche nel prezzo, sempre tenendo a mente le cifre di vetture affini. Spiaggia, roccia, erte, curve, autostrade, tratturi, la coreana ha dovuto sopportare di ogni, nella canicola di un’estate pazza, sommersa di polvere rossa che veniva portata al Sud dai venti del deserto, fradicia di temporaloni improvvisi, comunque in linea e reattiva, le mancava la parola. Rexton II sta scritto sull’insegna, a significare il modello successivo al primo.
Meglio togliere la sequenza, qualcuno potrebbe essere indotto all’errore o forse, in un sequal si potrebbe pensare a Rexton II la vendetta.

Riavvolgo il nastro e ricordo la frase maligna: «È un cassone però va». Il cassone, memoria di infanzia e di villeggiatura a Riminiriccione, in gergo romagnolo, è una piada farcita di spinaci, riempie la panza e rende felici. Viva il cassone.

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