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Quirico, giallo dopo la chiamata Forse è in mano ai governativi

La Farnesina invita alla cautela, ma non ci sarebbero stati altri contatti col giornalista. L'ipotesi: per ottenere la liberazione uno "scambio" politico

Quirico, giallo dopo la chiamata Forse è in mano ai governativi

Domenico Quirico scomparso in Siria il 9 aprile sarebbe nelle mani dei governativi. Il condizionale è d'obbligo, ma nell'ultima settimana due fonti del Giornale hanno confermato questa pista.

«Lo devono aver preso i governativi pochi giorni dopo il suo ingresso clandestino dal Libano nella zona di Tell Kalah», racconta al Giornale una fonte in Siria molto ben introdotta a Damasco, che parla in cambio dell'anonimato. Il giornalista della Stampa scomparso da due mesi ha dato un primo segnale di vita giovedì con una breve telefonata alla moglie. Una settimana fa un'altra fonte del Giornale in Libano, in contatto con un alto ufficiale siriano nella zona di Homs, aveva per primo sostenuto che l'inviato italiano fosse stato arrestato dalle forze pro Assad. E proprio ieri mattina sugli schermi de La7 il ministro della Difesa, Mario Mauro, ha pronunciato una frase enigmatica: «La situazione sul terreno è di una tale complessità e confusione che il fatto di ipotizzare il rapimento non aiuta a capire chi sono gli ipotetici interlocutori».

Tutte le ipotesi rimangono aperte. Quirico potrebbe essere stato preso da un gruppo di fanatici islamici anti Assad, che magari non si fidava del suo compagno di viaggio, Pierre Piccinin, professore belga di lontane origini italiane già arrestato in Siria. Oppure l'inviato sarebbe stato venduto a miliziani di uno o dell'altro fronte. O ancora potrebbe essere rispuntato dalle macerie di Qusayr, la roccaforte dei ribelli vicino al confine libanese espugnata nelle ultime ore dalle truppe siriane appoggiate dagli sciiti di Hezbollah.

Una delle fonti del Giornale sostiene, invece, che «quando il giornalista è entrato in Siria ha avuto inizio una grossa offensiva. E mi risulta che sia stato preso pochi giorni dopo. Poi devono averlo detenuto a Homs. Per controllare e capire chi fosse ci vuole del tempo. Alla fine i prigionieri di questo genere vengono trasferiti a Damasco».

A metà maggio, però, il presidente siriano, Bashar al Assad, aveva dichiarato in un'intervista al quotidiano argentino Clarin: «Al momento non abbiamo alcuna informazione. Quando otteniamo delle informazioni su qualsiasi giornalista entrato illegalmente le trasmettiamo al (suo) Paese». Se qualcuno viene arrestato i siriani attendono che i governi interessati si presentino a Canossa per ottenere la liberazione.

Nell'ultima settimana il ministro degli Esteri e quello della Difesa hanno «sparato» una raffica di dichiarazioni ben viste a Damasco. Il 5 giugno Mauro ha bocciato l'invio di armi ai ribelli siriani. Ancora prima Emma Bonino, a nome della Farnesina, ha criticato la decisione europea di levare l'embargo alle forniture belliche. Le «prove» dell'uso di armi chimiche sono state bollate da Mauro come «relative e riconducibili a casi limitati non tali da giustificare una reazione della comunità internazionale che alteri la situazione sul campo».

Il 5 giugno il ministro degli Esteri ha rimarcato due punti «ineludibili» per la conferenza di pace sulla Siria: il processo di transizione attraverso un governo di coalizione e «che non si può pretendere, come fa una parte dell'opposizione, di condizionare la tenuta della conferenza alle dimissioni del presidente Bashar al Assad».

Sarà un caso, ma 24 ore dopo è arrivata la telefonata di Quirico, che ha fatto tirare a tutti un sospiro di sollievo. «Non siamo ancora alla soluzione, ma all'inizio di un percorso che speriamo lo riporti a casa» ha spiegato il direttore della Stampa, Mario Calabresi.

Ieri intanto si è saputo che ad Aleppo sono stati rapiti altri due giornalisti francesi. In una nota la Farnesina sostiene che la vicenda di Quirico è entrata «in una fase di particolare complessità e delicatezza». Il ministero degli Esteri «intende attenersi a un assoluto riserbo» ed invita i media a tacere. Un black out totale, che è il metodo più sbrigativo per evitare rogne, ma non sempre il migliore nel caso di italiani nei guai.

Un esempio è il sequestro in Pakistan di Giovanni Lo Porto sparito anche dalle cronache dal gennaio dello scorso anno.

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