Il sequestro per mezza giornata del premier libico Ali Zeidan a Tripoli, da parte di miliziani governativi, era un tentativo di colpo di stato. Lo stesso capo del governo libico, poi liberato armi in pugno da unità fedeli, ha rivelato che «è stato il frutto di rivalità politiche interne. Se l'obiettivo era che mi dimettessi non lo farò». Il blitz americano a Tripoli, che ha portato sabato scorso alla cattura del super terrorista, Abu Anas al Libi, è stata la scintilla per cercare di destituire il premier con la forza. E dietro al fallito golpe ci sono gli estremisti islamici eletti in parlamento a cominciare dai Fratelli musulmani. Il piano è scattato ieri prima dell'alba quando una colonna di fuoristrada con 150 miliziani governativi si è diretta verso l'hotel Corinthia, nel centro di Tripoli, dove alloggia Zeidan. Al 21esimo piano le quattro guardie del corpo davanti alla sua stanza si sono arrese e alle 5.15 di mattina il premier è stato «arrestato».
L'azione è stata prima rivendicata e poi smentita dalle milizie della «Sala operativa dei rivoluzionari della Libia», che garantisce la sicurezza a Tripoli in nome del governo. Nei giorni precedenti avevano emesso un duro comunicato che annunciava rappresaglie per la cattura di Al Libi accusando Zeidan di essere in combutta con gli americani. Subito o in seguito il premier è stato preso in consegna dai miliziani del «Dipartimento anti crimine», una specie di Digos locale. E portato nel loro comando a Zanzour, nella zona nord ovest di Tripoli. «L'ordine di costringere Zeidan alle dimissioni è partito dal Parlamento. Non vogliono che disarmi le milizie e che chiuda i cordoni della borsa per determinati gruppi armati» rivela un testimone libico del caos di ieri. Il Dipartimento anti crimine che tratteneva il premier è stato istituito da Nouri Boushameen, presidente del Parlamento. Un berbero accusato di strizzare l'occhio agli islamisti e ai Fratelli musulmani. «È stato un semi golpe. La Fratellanza e gli estremisti islamici hanno infiltrato le forze di sicurezza composte da miliziani ed i servizi segreti. Se non stiamo attenti la Libia è perduta» dichiara al Giornale, Arduino Paniccia, presidente della task force sulla ricostruzione nel paese. Gli americani e i nostri servizi propendono per il colpo di stato fallito.
Ieri mattina con Zeidan in ostaggio il ministro della Difesa, Mario Mauro, ha convocato i vertici militari per affrontare la crisi. A Tripoli abbiamo non solo il personale dell'ambasciata, ma una trentina di militari della missione di addestramento delle forze armate libiche. Questa settimana dovevamo cominciare con le prime 400 reclute. «L'addestramento è rimandato - spiegano dalla Difesa - Abbiamo predisposto dei piani di evacuazione degli italiani in caso di necessità e aumenteremo il dispositivo navale per l'immigrazione illegale dalla Libia». A Tripoli la situazione è rimasta drammatica per ore. Guarda caso alla riunione di emergenza del governo non c'era il ministro della Difesa, Abdullah Al Thinni, in pellegrinaggio alla Mecca ed il dicastero dell'Interno è vacante. L'allarme rosso è durato fino al primo pomeriggio quando il portavoce dell'esecutivo, Mohammed Kaabar, ha annunciato che Zeidan «è stato liberato, non rilasciato». Unità dell'esercito e di miliziani fedeli al premier erano intervenuti con la forza. Secondo Haitan al Tajouri, comandante del cosiddetto «Reparto di rinforzo», i suoi uomini hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con i miliziani che avevano in custodia il premier liberandolo.
«Il presidente del Parlamento il giorno prima aveva annunciato un nuovo voto di sfiducia al premier per la cattura Usa di Al Libi - spiega una fonte diplomatica - Invece che convocare Zeidan davanti al congresso hanno agito per via miliziana pensando di farlo dimettere, ma non ci sono riusciti. Da oggi, però, la situazione sarà peggio di prima con fette della Libia fuori controllo e un premier sempre più debole».
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