Achtung, di austerità si può morire

Perfino un economista della Deutsche Bank avverte: siamo di fronte a una recessione autoinflitta

Achtung, di austerità si può morire

Presto, qualcuno fornisca uno psicologo ai governi d’Europa. Seguendo ciecamente la linea rigorista dettata da Berlino e da Bruxelles, una dietro l’altra le cancellerie dell’Eurozona si avviano serenamente verso l’harakiri.
Sono i dieci piccoli indiani della finanza pubblica. Fino a pochi mesi fa l’Olanda era praticamente la vice-Germania: predicava rigore dei conti e guai a chi sgarrava dal verbo della Bce. Poi è venuto fuori che i conti del Paese dei tulipani erano tutt’altro che rose e fiori. Risultato: le dimissioni del governo Rutte. Sarkozy ha capito troppo tardi che rischia di rimetterci l’Eliseo.

Nelle ultime settimane di campagna ha fatto di tutto per smarcarsi da Bruxelles, sparando schioppettate contro gli euroburocrati e annunciando una revisione degli accordi di Schengen. Ma non è bastato: al primo turno del ballottaggio è scivolato dietro all’avversario socialista, che aveva da subito cavalcato il tema dell’antieuropeismo. Hollande sa bene che a indebolire Sarkozy è Merkozy: Ieri ha scelto il tg più ascoltato, l’edizione delle20 di Tf1, per dichiarare la sua fretta: «se conquisterò l’Eliseo andrò subito a Berlino per illustrare alla cancelliera la mia idea di un’altra Europa». La tendenza è ormai chiara anche a Monti, che ha visto il suo gradimento crollare a picco nei sondaggi. Ma a che punto arriverà l’autolesionismo della linea teutonica?
Certo, Berlino ha maggior interesse a mantenere il rigore dei conti, ma l’interconnessione tra le economie europee è tale che anche la locomotiva tedesca rischia di rallentare, non fosse altro perché i suoi clienti nel resto d’Europa sono ridotti alla fame e smettono di comprare il made in Germany. Il titolo con cui il Financial Times ha aperto l’edizione di ieri non lascia dubbi: «I leader (europei) fronteggiano il contraccolpo dell’austerità».

Il riferimento era al contraccolpo politico, vedi Francia e Olanda, ma la Germania non è un’isola, tantomeno felice. Lo dicono i dati sull’industria manifatturiera dell’Eurozona che indicano una frenata inattesa della produzione, Germania inclusa. La domanda è sempre più debole a causa della terribile tenaglia costituita dalle misure di austerità dei governi concatenate alla stretta del credito da parte delle banche. Il risultato è un crollo della domanda che ha spento le speranze di una ripresina di cui si cominciava a parlare (altro che la luce in fondo al tunnel ritratta da una ottimistica copertina dell’Economist di un paio di settimane fa). Al contrario, la lettura di ieri del quotidiano finanziario britannico non lascia dubbi: «La recessione è peggiore di quanto si credesse».

Ma niente da fare: nei summit europei si continuano a lanciare allarmi contro i rischi terribili che l’Europa correrebbe se non seguisse la dieta prescritta dal dottore tedesco. Pazienza se perfino gli uffici statistici di Bruxelles, controllando gli esiti della cura, registrano sintomi da malattia terminale. Il deficit dei Paesi dell’Eurozona nel 2011 è sceso al 4,1 per cento, dal 6,2 dell’anno scorso, ma nonostante i tagli siamo sempre più indebitati: il rapporto tra debito e Pil è salito all’87,2% dall’85,3 dell’anno precedente. Tra i Paesi che non sono in regola con il limite ideale del 60% ci sono ovviamente i soliti osservati speciali, Italia in prima fila, ma c’è anche la Germania: 81,2%!
E non è finita. Anche se il club degli affamatori è sempre più ristretto (dopo che anche l’Olanda ne è uscita), la ricetta tedesca non accenna a cambiare.

Ieri i Paesi dell’Europa dell’Est si sono duramente scontrati con Germania e sodali durante le trattative per il budget settennale dell’Unione: i Paesi forti vogliono tagliare 100 miliardi di euro, ma naturalmente solo dai capitoli che riguardano il sostegno ai Paesi più deboli. Qualcuno spieghi loro che di austerità si muore.


Forse invece di dar retta al nuovo appello al rigore di Jens Weidmann, presidente di Bundesbank, dovremmo ascoltare un altra banca di Germania, la Deutsche Bank. Un suo economista, Gilles Moec, ieri l’ha detto chiaro: «Siamo di fronte a una recessione auto-inflitta». Chissà come si dice Tafazzi in tedesco.

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