Adesso lo sentiremo ripetere dai giornalisti e i politici per bene in tutte le occasioni: è stato un grande successo della primavera araba, un’affermazione di democrazia la decisione di Ennahda, il partito di maggioranza tunisino che, benché rischi di procurare gradi tensioni nel suo elettorato, ha deciso di non trasformare l’articolo uno della Costituzione del 1959. Cioè, vi ha lasciato scritto che la Tunisia è «uno stato libero, indipendente e sovrano: la sua religione è l’islam e il suo regime è la repubblica».
Insomma, Ennahda si è mantenuto il diritto di essere ancora denominato dalla stampa internazionale «partito islamico democratico», perché la legge islamica, la sharia, non è stata inserita nell’articlo di legge; passa in sottordine che venga evocata tuttavia dall’immediata definizione dell’islam come religione di Stato. Di fatto la deriva tunisina verso i Fratelli Musulmani (questa è la casa madre di Ennahda e del suo leader Gannouchi) non è cosa da poco per quanto si ammanti di moderatismo, specie nel Paese più laico, almeno fino a ieri, del mondo arabo. Ma si sa, più che una primavera araba questa è una primavera islamica, e quella egiziana non è da meno. Anche qui la branca «moderata» più quella salafita hanno ottenuto il 72 per cento in parlamento, e l’islamismo vince anche in Marocco, dove solo ieri un diplomatico israeliano assediato dalla folla ha dovuto scegliere la via della fuga. In Tunisia, se mai Ennahda volesse scegliere una via dolce, si può prevedere facilmente che i salafiti scenderanno in piazza non si sa con quale risultato: intanto 8000 persone ieri sono scese in piazza a Tunisi per ottenere l’applicazione della sharia al grido «vogliamo una repubblica islamica».
Il guaio è che gli episodi di orgoglio islamico per altro non osteggiati da Ennahda sono stati parecchi: una milizia islamica è stata legalizzata. Riporta infatti l’esperta Anna Mahjar Barducci, sul sito di Gatestoneinstitute, che il ministro degli Interni ha dato stato legale al «Comitato per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio», una polizia religiosa istituita dopo la rivoluzione. I tre comitati che la compongono controllano l’osservanza religiosa, la scienza, gli affari giuridici. La polizia ha assalito per strada donne senza il velo, hao occupato moschee, ha picchiato professori e giornalisti liberali. Inoltre Ennahda, che teme la forza salafita, gli ha dato la possibilità di occupare e controllare piccole città, come Sejnane con i suoi cinquemila abitanti, nel nordovest del Paese. Secondo i media tunisini, circa 250 individui hanno talebanizzato la città imponendo la sharia con innumerevoli episodi di intolleranza e violenza verso il vino (a un venditore sono state spezzate le dita), il tabacco, la vendita di dolci per capodanno perché è una festa cristiana, l’abbigliamento femminile. Il governo, sostengono i media locali, lascia che i salafiti facciano i loro esperimenti locali di sharia dura, e anzi hanno lasciato che un partito ufficialmente bandito, Hizb ut Tahrir, ovvero il Partito della Liberazione, organizzasse nei giorni scorsi una conferenza internazionale di donne intitolata «Il califfato, luminoso esempio per i diritti e il ruolo politico della donna». Le partecipanti erano cinquecento da tutto il mondo. Hanno stabilito che la democrazia ha fallito, e che «il Califfato, storicamente messo alla prova, può dare un futuro migliore alle donne musulmane» (questo l’ha detto la delegata britannica). Il convegno tenuto nel lussuoso palazzo di Gammarth, nella periferia nord di Tunisi aveva un tono festivo, aperto, certamente Ennahda non sembrava avere niente in contrario a che le donne spendessero tutte le loro energie per spiegare la bontà del califfato a fianco di un’organizzazione bandita.
Insomma, anche se Rachid al Gannouchi, il leader di Ennahda che ha ottenuto il quaranta per cento dei voti, ha tenuto sin dall’inizio la linea morbida, tesa a dimostrare la sua volontà di dialogare con l’Occidente, pure è difficile se non impossibile immaginare che la gestione del Paese che si prepara non smusserà le punte per i salafiti, amici-nemici, in guardia rispetto a cedimenti all’Occidente e invece consenzienti sulla linea sunnita dura, e le renderà più acuminate per chi si metterà sulla strada di un islamismo militante.
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