Angie li fa fuori tutti. Con quel suo sorriso sereno e un po' vacuo, colei che il suo pigmalione Helmut Kohl chiamava con una certa condiscendenza das Mädchen, la ragazza, ha rassicurato e ammaliato ancora una volta i tedeschi e si è spianata la strada per un terzo storico mandato alla Cancelleria: e su quella strada ha disseminato i virtuali cadaveri di quasi tutti i suoi avversari politici. Come del resto è stata sempre abituata a fare, senza guardare in faccia a nessuno, cominciando proprio da Kohl che l'aveva voluta nel suo governo e che lei non esitò poi a liquidare per diventare ciò che oggi è.
Ricapitolare per credere. Il suo coraggioso (nel senso che contro di lei non aveva chances e lo sapeva) sfidante socialdemocratico Peer Steinbrück è stato travolto come un birillo del Kegelbahn, la popolare versione tedesca del bowling, e si è affrettato a chiarire che in un'eventuale riedizione della Grosse Koalition non farà mai il ministro per lei, ma anche che il suo percorso di leader è finito qui. Il giovane leader liberale Philipp Rösler, che era anche vicecancelliere, ha tratto le conseguenze dalla catastrofe del suo partito e ha dato le dimissioni: difficile fare diversamente, dopo che la Fdp è scomparsa per la prima volta dalla geografia del Bundestag e dopo l'umiliazione personale patita nel proprio collegio, dove Rösler ha raccolto un miserrimo 2,6 per cento. Caos traumatico anche tra i Verdi, che sono sì rientrati in Parlamento ma con numeri deludentissimi: un 8,4 per cento che è magro rispetto all'11 e passa della precedente tornata e magrissimo se confrontato con i sondaggi di un annetto fa, quando gli ecologisti miracolati dal disastro atomico di Fukushima «vedevano» il 20 per cento e si illusero di essere ormai diventati il nuovo partito di massa del XXI° secolo. Così i due leader Jürgen Trittin e Renate Künast (un uomo e una donna come due consoli romani, in omaggio all'imperante politically correct) hanno rimesso i loro titoli al partito, che provvederà a rimpiazzarli. Stessa fine per Bernd Schlömer, il capetto dei Piraten, il partitino protestatario rimasto sulla cresta dell'onda giusto il tempo per farsi affondare anch'esso dalla corazzata Merkel.
Insomma, un'ecatombe. Resa in parte possibile, è anche vero, dalla difficoltà di superare la soglia di sbarramento del 5 per cento, mancata davvero per poco dai liberali e dagli anti-euro di «Alternativa per la Germania»: quasi 7 milioni di voti sono così risultati sprecati, suscitando interrogativi sull'opportunità di abbassare in futuro almeno di un po' quell'altissima asticella. Ma la vittima più eccellente di questo trionfo incompleto di Angela III potrebbe essere per paradosso proprio nei ranghi più illustri della sua Cdu. A Berlino si comincia infatti a parlare del siluro destinato a colpire l'attuale ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. Sì, proprio lui, l'uomo più potente dopo la Cancelliera, l'unico ministro uscente che veniva considerato certo di mantenere la sua poltrona dopo le elezioni. Questo però sarebbe stato vero se la Merkel avesse potuto tornare a guidare una coalizione coi liberali o addirittura un monocolore del suo partito. Ora che invece la vincitrice delle elezioni si trova costretta a negoziare con i socialdemocratici e con i verdi, sembra probabile che la loro prima condizione sarà proprio la testa dell'uomo simbolo del rigore governativo soprattutto in ambito europeo. Rinunciare a Schäuble sarebbe un colpo molto duro per Angela Merkel, che certamente cercherà di pararlo.
Essendo però la politica l'arte del possibile, nulla è per l'appunto impossibile. Anche perché, come la stessa Merkel ha già lasciato intendere, è difficile che con una maggioranza diversa le politiche europee potranno restare identiche. Il destino di Schäuble sarà rivelatore in questo senso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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