Benvenuti in Australia, il Paese delle donne

Il capo dello Stato, il premier, il governatore generale, il presidente della Camera: la leadership è tutta femminile

La regina Elisabetta II con la premier Julia Gillard
La regina Elisabetta II con la premier Julia Gillard

Forse non tutti sanno che l'Australia è il paese delle donne. Seconde al mondo solo alle neozelandesi nella conquista del diritto di voto, le australiane già nel 1902 potevano essere elette al Parlamento federale. Mentre in Italia si dibatte ancora su come garantire una sufficiente presenza femminile in politica, in Australia le donne detengono il primato mondiale dei ruoli istituzionali. Sono presenti a tutti i livelli del potere grazie alle consuetudini nate per garantire un'alternanza maschile-femminile nei posti chiave. Con l'eccezione odierna, che vede tutte donne al vertice. A cominciare dalla regina Elisabetta II, che è il capo dello Stato, formalmente rappresentata da un'altra donna, il Governatore Generale Quentin Bryce. C'è poi la laburista Julia Gillard capo del governo e Anna Burke presidente della Camera.
Naturalmente non sono state conquiste facili. Julia Gillard scala i vertici del partito laburista confrontandosi con uomini di peso. Vice premier nel governo di Kevin Rudd, la Gillard conquista la crescente fiducia del partito al punto che viene deciso un cambio nella leadership. Rudd è costretto a dimettersi e lei nel giugno 2010 diventa il primo premier donna. Per ottenere la legittimazione dell'opinione pubblica convoca nuove elezioni, supera il boicottaggio dei fedelissimi di Rudd e vince.
In Australia esiste una maggiore considerazione e apertura mentale nei confronti delle opinioni delle donne rispetto all'Italia. Anche quando danno voce a chi se ne infischia del politicamente corretto. È così che Pauline Hanson, madre di 4 figli tirati su da sola, parte dai comizi per i clienti del suo negozio di fish and chips alla conquista degli elettori, prima come candidata del Partito Liberale, poi come fondatrice di «One Nation». Bollata come razzista per le sue posizioni anti multiculturalismo, immigrazione e privilegi accordati agli aborigeni, porta il suo partito alla conquista del 22% dei seggi. Il suo successo spaventa. Minacce, tradimenti e, infine, l'arresto ingiusto per dei cavilli sui contributi elettorali. Ma si è rialzata. Non è un'attitudine rara la tenacia delle donne australiane, incorpora ancora lo spirito dei pionieri di fronte a condizioni avverse, e paga con conquiste di prim'ordine in materia di diritti. L'Australia è anche una nazione dinamica e agile che non soffre di pregiudizi sessuali neppure in economia; per esempio, la potente magnate Gina Rinehart è leader dell'industria mineraria e nel settore bancario Gail Kelly è a capo della Westpac, la terza banca d'Australia, alla quale è arrivata dopo una lunga serie di clamorosi successi, come il miracolo alla guida della St George Bank, realizzato nonostante un parto trigemellare alla seconda gravidanza.
Mentre in Italia s'impone per legge l'accesso delle donne nei consigli di amministrazione, Jillian Broadbent, economista e direttore di diverse multinazionali, Catherine Tanna, presidente della BG Group (multinazionale gas e petrolio) e Heather Ridout, presidente dell'industria AIG, sono tra i 9 membri del board della Reserve Bank of Australia (la banca centrale). I pregiudizi sessisti sono certamente ancora presenti, si discute ancora di discriminazioni e si investe sul riconoscimento di modelli femminili esemplari, ma ormai la valutazione delle persone si basa su competenze e capacità individuali. In Italia non siamo così fortunate, la politica ha le sue consuetudini che impediscono un ricambio naturale in tutti i sensi. Ma entrano in gioco anche altre caratteristiche sociali. Secondo l'analisi del Comitato dell'Onu sull'attuazione della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (Cedaw), le donne sono maggiormente penalizzate in quei sistemi che si richiamano alla tradizione, all'etica o alla religione. Anche in Italia resiste ancora un'impostazione culturale che vede la donna protagonista nella sfera privata e l'uomo in quella pubblica. Spesso sono le stesse donne che percepiscono negativamente la politica, che come tale viene scartata dai loro interessi. Allo stesso tempo anche nella scelta degli studi e del lavoro s'indirizzano verso tipologie «femminili» in modo da poter conciliare le esigenze professionali con le responsabilità familiari. È una situazione diffusa, Australia compresa, dove le resistenze all'accesso delle donne a ruoli di leadership si assestano al 10%. Uno studio della società Booz & Company, sui dati raccolti dal World Economic Forum e dall'Economist intelligence Unit, indica come fattore globale di ostacolo alla partecipazione femminile l'aspettativa sociale nei confronti delle donne alla cura di figli, anziani e malati.

E questo causa una sorta di destino sociale obbligatorio. Proprio per impedire tale discriminazione, è stato creato l'Eige (Istituto europeo per l'eguaglianza di genere) il cui obiettivo è sostenere l'Ue nella crescita economica e nella coesione sociale.

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