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Chavez, il dittatore del popolo

Lo scrittore Cosmo de La Fuente ci racconta l'altra faccia del Venezuela di Hugo Chavez, quella fatto di povertà e soprusi. Un aspetto che i media italiani troppo spesso fanno finta di non vedere

Chavez, il dittatore del popolo

Duranti i (quasi) 14 anni ha fatto il bullo attraverso le televisioni di tutto il mondo. Da quando venne eletto presidente, fino alla sua morte, pochi sono riusciti a inquadrare bene chi fosse davvero Chavez. Alle ultime elezioni, il suo oppositore Capriles ha ottenuto il 44% dei voti, segno che milioni di persone non stavano più con il "comandante". Da sempre, e anche quella volta, il comandante ballava, rideva, sparlava, minacciava, cantava, millantava e spacconeggiava. Ora ha lasciato un vuoto; quanti soffrono per questo vuoto? I media italiani hanno dipinto Chavez come l’ultimo dei socialisti, ma così non è stato: a cominciare dalla negata libertà di espressione.

Durante gli anni del suo regime lui era sempre il tema delle conversazioni tra venezuelani, ci si lamentava, o lo si elogiava. Lui era tutto e ci teneva a presentarsi come Gesù Cristo. Nelle sue estenuanti cadenas televisive, quattro o cinque ore di diretta eseguite grazie all’uso che faceva di cocaina (lui stesso ammise di farne uso e la consigliò come metodo curativo), amava dire di essere un inviato di Dio; stesso metodo usato dal terrorismo islamico: "Agisco in nome di Dio, perciò quello che dico e faccio è giusto".

La sua insistenza nel considerarsi una sorta di reincarnazione di Simón Bolivar, poi, ha avuto del ridicolo; soltanto i più ignoranti potevano credere (o fingere di credere) a queste deliranti affermazioni. Bolivar professava, tra l’altro, la libertà dei popoli. Chavez ha messo in atto, invece, una vera e propria sottomissione del popolo. Anch’io, di fronte a certe accuse, sono stato riluttante e incredulo, ma mi è bastato dare un’occhiata alla costituzione bolivariana, quella nuova di Chávez, per rendermi conto che si trattava di un progetto della peggiore specie.

Le prime due leggi che mi lasciano basito sono quelle che riguardano il tradimento di pensiero; si prevedono, cioè, fino a sei anni di carcere per chi fa propaganda contro il governo. Siete ancora convinti, dopo questo, che il Venezuela sia il risultato della democrazia più grande dell’America latina? Già chiamare una costituzione “bolivariana” non ha molto senso; Bolivar è morto tantissimi anni fa, non ha nemmeno conosciuto la rivoluzione industriale. In questo paradossale connubio Bolivar-Chávez, inventato dal caudillo, si confondono le parole dell'uno con le parole dell’altro. Bolivar, tra l’altro, viveva in povertà, mentre il defunto presidente venezuelano viveva negli sfarzi come un nababbo, spendendo milioni e milioni di dollari per pubblicizzare la sua politica, regalando il petrolio venezuelano a molti paesi dell’America latina e lasciando solo i tozzi di pane alla sua gente.

Le contraddizioni di Hugo sono state infinite, a cominciare dal colpo di stato che lui stesso tentò nel 1992 contro un altro presidente, eletto democraticamente. Ai microfoni dei giornalisti disse: “Questa volta non siamo riusciti, ma ritorneremo”. Il suo modo di fare, "spacconeggiante", risultò simpatico ai venezuelani e appena uscito di galera vinse le elezioni, era il 1998. Il Venezuela è, ormai da molti anni, un paese soffocato dalla corruzione e dal mal governo, rimasto quasi l’unico ad esportare il petrolio in tutto il mondo. Durante i suoi anni al potere il prezzo del petrolio, che rappresenta il 30% del PIL, è passato dai 9 dollari al barile a 150, oggi si aggira intorno ai 100 dollari al barile. Una grande ricchezza se si considera che il Venezuela consta di circa 30 milioni di abitanti. Il Chavismo ha prodotto una serie di disastri che riguardano le abitazioni, le infrastrutture, l’agricoltura, l’elettricità, la distribuzione di alimenti e sicurezza pubblica, mentre la produzione di greggio si è ridotta a causa di una cattiva gestione.

Chávez nonostante tutto vinse le elezioni di ottobre 2012, benché fosse già gravemente ammalato, ma sia lui che i suoi tentarono di nascondere il suo reale stato di salute. Ridusse in qualche modo la povertà, regalando, come più volte detto, solo le briciole alla gente delle baraccopoli. Ma per i suoi scopi teneva almeno il 99% degli introiti. Viveva nell’amore per se stesso e non faceva altro che insultare i suoi oppositori e, soprattutto, gli Stati Uniti.

I media ci mostrano i pianti di milioni di venezuelani che temono di aver perso non solo un politico, ma un padre, un salvatore. Un popolo ormai succube di un attaccamento infantile, di una sindrome simile a quella di "Stoccolma".

Sono molte le famiglie che piangono, però, i loro figli assassinati perché contrari al suo governo. Un buon 50% del popolo, di gente che potrebbe essere la spina dorsale di questo paese, non viene nemmeno considerata dalle televisioni e dai giornali italiani. Ci sono cognomi diventati simbolo del massacro compiuto da Chavez, che fingeva amore per il popolo ma che era un tiranno con chi la pensava diversamente da lui. Morti che restano sulla sua coscienza: basta nominare Franklin Brito, Maria Lourdes Alfiuni, Simonovis, per far venire la pelle d’oca a qualsiasi venezuelano, ma non ne parlerò ora, meritano, insieme a migliaia di altre vittime, un capitolo a parte.

Sono convinto che coloro che promuovono Hugo Rafael Chávez Frias come padre del nuovo socialismo imponendolo come un santo, lo fanno, sostanzialmente, per due motivi: ignoranza o interesse. Spesso si utilizzano due metri e due misure, perché se in Italia qualcuno si comportasse come lui, sarebbe immediatamente considerato un dittatore. Un paese che era libero, come il Venezuela, diventato bersaglio di sotterfugi per cancellare la memoria e la storia. Sono stati censurati il libri di scuola, le parole in tv, i giornali per azzerare la possibilità d’opposizione. Anche i venezuelani all’estero, grazie a Internet, denunciano questo stato di cose e non possono restare impassibili di fronte alle false affermazioni sulla "meravigliosa situazione venezuelana". Soltanto noi che viviamo fuori ci sentiamo al sicuro e possiamo parlare apertamente, eppure, in Italia quando vengo intervistato, si cerca di stoppare la mia verità, che corrisponde alla verità di almeno la metà dei venezuelani.

Per me questa si chiama disinformazione.

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