di Giuseppe Marino
L'ultima cannonata della guerra di Jugoslavia è stata sparata ieri. E ha colpito in pieno il senso stesso della giustizia internazionale che, faticosamente messa in piedi dopo anni di dibattiti (o meglio secoli, se si pensa che se ne parlò per la prima volta alla fine dell'800), rischia di perdere altri pezzi della sua traballante legittimazione. Le polemiche sono inevitabili dopo che ieri la corte d'appello del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, antesignano della Corte penale dell'Aia, ha assolto Ante Gotovina e un altro generale croato, Mladen Markac, dall'accusa di «crimini contro l'umanità e violazione delle leggi di guerra». Gotovina lasciò la Legione straniera e tornò in Croazia allo scoppio della guerra civile proprio per dare manforte al suo Paese. Ebbe un ruolo centrale nell'attacco alla Krajna, quella porzione dell'hinterland dalmata a maggioranza serba che non accettò la dichiarazione d'indipendenza della Croazia per timore di trovarsi discriminata in un Paese straniero e ostile. La zona fu massicciamente bombardata, ci furono alcune centinaia di morti e 150-200.000 serbi furono costretti ad abbandonare le proprie case e scappare. La sentenza di ieri, ribaltando la condanna a 24 anni inflitta in primo grado a Gotovina, certifica che i bombardamenti, pur avendo sicuramente centrato obiettivi civili, non si possono configurare come un «piano coordinato» per attuare quella pulizia etnica che effettivamente poi avvenne, con la «liberazione» della Krajna nel 1995. È una sentenza sconcertante dal punto di vista del diritto, raggiunta oltretutto col parere contrario di due giudici su cinque, tra cui l'italiano Fausto Pocar, perché non ha solo prosciolto i colpevoli, magari riconoscendo che erano solo esecutori del disegno nazionalista: ha stabilito che bombardare obiettivi civili, a posteriori, può essere giustificato. Ma altrettanto sconcertante è l'effetto politico. I due generali sono già tornati in patria, accolti come trionfatori. E quelle scene di giubilo incidono una nuova ferita nella coscienza dei serbi che sono stati bombardati dalla Nato, esclusi dall'Unione europea e ora, in pratica, riconosciuti unici responsabili dei massacri di quella sanguinosa guerra civile.
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