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Il Partito comunista cinese sceglie i nuovi leader

Sette giorni di lavori nella grande sala dell’Assemblea del Popolo, che si affaccia su piazza Tienanmen. Le due fazioni che sono in lotta. L'appello di Hu Jintao contro la corruzione

Sette giorni di lavoro per il passaggio di consegne tra la vecchia e la nuova leadership. Accade in Cina, con il diciottesimo congresso del Partito comunista, aperto ufficialmente da Hu Jintao. Il leader ha sottolineato l’esigenza di riequilibrare l’economia verso una "modernizzazione socialista" e l’aumento della domanda interna. Poi ha fatto un accorato appello contro la corruzione: "Se non affrontiamo questo il problema la corruzione potrebbe provocare una crisi del Partito e anche un crollo dello Stato". Solo un piccolo accenno alle riforme politiche: "La riforma della struttura politica è una parte importante delle riforme generali e dobbiamo prendere iniziative positive e prudenti in questa direzione". Come previsto il potere sarà consegnato nelle mani di Xi Jinping, 59 anni, attuale vicepresidente della Repubblica e capo della segreteria del partito.

Il congresso si è aperto a Pechino, nella Grande Sala del Popolo che si affaccia in Piazza Tienanmen, luogo della strage del 1989. Per la Cina è l'appuntamento politico più importante del decennio: finisce l'era del presidente Hu Jintao e del premier Wen Jiabao e, con un preciso meccanismo di cooptazione, si insediano i nuovi leader del Paese, quelli che affiancheranno il presidente fino al 2022. I loro nomi saranno resi noti giovedì prossimo, a congresso finito. Ai lavori del partito partecipano oltre 2.300 delegati. A loro il compito di nominare il Comitato centrale (350 persone) che sceglierà i 25 seggi del Politburo. Il vero cuore del potere cinese è il Comitato permanente del Politburo (attualmente nove membri), scelto tra i componenti dell'organismo. Sono due nomi della vecchia guardia resteranno al vertice: Xi Jinping, il nuovo leader, e l'attuale vicepremier Li Keqiang, che sarà promosso al ruolo di primo ministro al posto di Wen Jiabao.

Imponenti misure di sicurezza a Pechino, soprattutto attorno a Piazza Tienanmen. Arrestato un uomo che intonava slogan di protesta nel corso del tradizionale alzabandiera. Ieri cinque tibetani si sono dati fuoco in varie zone del Paese, portando a 68 il numero di auto immolazioni dal 2009 a oggi.

Le diverse correnti del partito

Contrariamente a quanto si possa pensare il Partito comunista cinese al suo interno ha diverse correnti. Vere e proprie fazioni che si danno battaglia tra le mura dei palazzi del potere. In alcuni casi lo scontro diventa talmente duro da portare alla possibile caduta in disgrazia di un leader, come accaduto nei mesi scorsi a Bo Xilao, coinvolto in uno scandalo giudiziario ed espulso, di fatto, dal partito. Per semplificare al massimo le due correnti principali che si contrappongono sono la coalizione populista e quella elitista. Hu Jintao e Wen Jiabao, quest’ultimo sfiorato nei giorni scorsi da uno scandalo sull’arricchimento della sua famiglia, denunciato da una recente inchiesta del New York Times, sono i leader della fazione populista. Il loro obiettivo, ora, è quello di mantenere per altri cinque anni la guida della Commissione militare. La fazione elitista, invece, guidata un tempo da Jiang Zemin, è ora guidata da Wu Bangguo, presidente dell’Assemblea del popolo, e Jia Qinglin. Xi Jinping, il nuovo presidente, è considerato più vicino a questa fazione (ma è anche un uomo di mediazione). Li Keqiang, destinato a diventare primo ministro, invece, fa parte della fazione populista.

Al di là della lotta di potere le due fazioni rappresentano anche diverse istanze sociali, economiche e geografiche. La fazione elitista, per esempio, conta molti "principini", i giovani rampolli dell’aristocrazia comunista, i cui genitori si sono formati a fianco del "Grande timoniere", Mao Tse-tung (in taluni casi subendo anche epurazioni), oppure hanno sostenuto le riforme del "Piccolo timoniere", Deng Xiaoping. Anche Xi Jinping, per fare un esempio, è un principino. La loro base di riferimento sono gli imprenditori, che Jiang Zemin ha voluto nel partito quando ha fatto sancire dal Pcc la "teoria delle tre rappresentanze". La coalizione populista, invece, è quella più di sinistra (nel senso occidentale del termine), cioè quella che vuole più Stato e meno impresa. I suoi componenti spesso vengono da famiglie meno privilegiate, com'è il caso del futuro premier Li Keqiang, un ex operaio.

Il miracolo cinese è quello di far convivere le due posizioni. Una convivenza, come dicevamo prima, non sempre facile. Di certo sino ad ora Xi Jinping si è mostrato abile nel non farsi troppi nemici. E' il prototipo del perfetto democristiano: ha sempre sostenuto le cose su cui tutti erano d’accordo, evitando di esporsi nei momenti in cui le divisioni erano più laceranti. Sulla caduta in disgrazia di Bo Xilao, ad esempio, si è ben guardato dal finire nella mischia. L’analista politico Willy Lam, parlando al South China Morning Post, lo descrive come un "team player", uno che sa lavorare bene in squadra e che "non vuole assumersi rischi che mettano in pericolo la sua carriera". Riuscirà a mettere tutti d'accordo e, in nome della tanto sbandierata armonia, mandare avanti l'impero cinese? Ai posteri l'ardua sentenza.

La nuova sfida economica

Intanto la Cina, attraverso Hu Jintao, fa sapere che Pechino vuol continuare a crescere. Come e più forte di prima. Per questo il presidente cinese uscente ha chiesto oggi un nuovo modello di crescita: "In risposta ai cambiamenti economici sul piano nazionale e internazionale, dovremmo accelerare la creazione di un nuovo modello di crescita e
assicurare che lo sviluppo sia basato su una qualità e una performance migliori". Gli obiettivi sono due: raddoppiare il Prodotto interno lordo (Pil) e il reddito della popolazione tra il 2010 e il 2020. Per centrarlo si deve mantenere la crescita sopra al 7% di media. Una vera e propria locomotiva. Ma niente democrazia. "Non copieremo mai i sistemi politici occidentali", ha assicurato Hu Jintao. Il popolo cinese può aspettare.

Come sempre ci penserà il partito a fare (e disfare) tutto.

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