Hanno discusso di come aiutare i ribelli siriani, di come gestire la crisi dei rifugiati, di come accelarare l'uscita di scena del regime di Bashar el Assad in Siria, ma anche di come agire nel peggiore degli scenari possibili: un attacco con armi chimiche. Hillary Clinton ha incontrato ieri il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu a Istanbul. Per gli Stati Uniti, Ankara è il partner centrale con cui cercare di gestire la crisi siriana.
Per ora, nessuno sforzo diplomatico ha avuto effetto sulle violenze in Siria, che vanno avanti. Ieri, secondo l'Osservatorio per i Diritti umani siriano, un gruppo di attivisti, i morti nei combattimenti sarebbero stati almeno 40. Ad Aleppo, nel nord del Paese, le forze del regime bombardano con elicotteri e caccia alcune zone della città, ma i ribelli controllano molti quartieri. A Damasco, ci sarebbero state ieri due forti esplosioni, di cui ha dato notizia la tv di Stato, senza però parlare di vittime.
«L'obiettivo numero uno - ha detto il segretario di Stato Clinton in una conferenza stampa - è accelerare la fine del regime», con «pressioni esterne». Per Washington, parte di queste pressioni sono le nuove sanzioni imposte venerdì non soltanto a Damasco, ma anche ai suoi alleati Iran e Hezbollah, le milizie sciite libanesi. Assieme alla Gran Bretagna, Washington sostiene i ribelli rifornendoli di materiale per comunicazioni e tecnologia non di armi, che secondo alcune indiscrezioni di stampa sarebbero invece in arrivo da Qatar e Arabia Saudita.
Stati Uniti e Turchia lavorano alla creazione di un gruppo che studi i possibili futuri scenari, un'eventuale transizione. Tra questi, ricorda Clinton, c'è anche la possibilità di un attacco con armi chimiche. «Cosa significherebbe in termini di risposta, assitenza umanitaria e medica, come evitare che l'arsenale sia utilizzato o finisca in mani sbagliate?», è la domanda del segretario di Stato. A luglio, il ministro degli Esteri siriano aveva per la prima volta fatto riferimento all'arsenale chimico del regime, dichiarando che la Siria sarebbe pronta a usarlo in caso di attacco esterno, non contro i propri cittadini. E per la prima volta ieri Clinton ha detto che l'imposizione di una no fly zone in Siria è una possibilità. L'estate scorsa, in Libia, la creazione di una zona di interdizione al volo è stata cruciale nella vittoria delle forze dell'opposizione al colonnello Gheddafi. Un'altra possiblità, ha spiegato il ministro degli Esteri turco, è la creazione di una zona cuscinetto nel nord della Siria, al confine con la Turchia, per scopi umanitari.
Da duemila a tremila siriani attraversano ogni giorno la frontiera, secondo le autorità turche. Nei campi profughi in Turchia ci sono oltre 55mila persone. «Ho ascoltato storie terribili», ha detto ieri Clinton, dopo aver parlato con alcune donne in fuga dalla Siria.
Lo sforzo internazionale va avanti anche oggi, con un incontro tra i capi della diplomazia araba in Arabia Saudita.
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