Hollande rimette l'elmetto per il Centrafrica

Dopo il Mali, nuovo intervento militare. Da ieri dispiegati 1600 soldati francesi. Un modo per risollevare la popolarità del presidente

Hollande rimette l'elmetto per il Centrafrica

A prima vista la decisione di François Hollande di rispedire l'Armée in Centrafrica non fa una grinza. Il quarto intervento in 53 anni nella disgraziata ex colonia, già regno dell'imperatore Bokassa, appare in queste ore pienamente motivato sia dal punto di vista morale, sia da quello della legalità internazionale. I 1600 soldati francesi dispiegati da ieri sera all'interno di un paese vasto quanto Spagna e Portogallo operano in base a una risoluzione votata giovedì scorso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Una risoluzione indispensabile per bloccare il massacro delle popolazioni cristiane. Un massacro sistematico e preordinato messo a segno dalle milizie islamiste Seleka. Le stesse milizie che lo scorso marzo hanno deposto il presidente François Bozize sostituendolo con Michel Djotodia, primo presidente musulmano del Centrafica dall'indipendenza a oggi. Il ritorno dei militari francesi nel paese di Bokassa però non serve solo a salvare le vite dei cristiani, ma anche a garantire il futuro politico di François Hollande e dei socialisti francesi. Come l'intervento del predecessore Nicolas Sarkozy in Libia anche l'avventura centrafricana di Hollande prende forma nell'ambito di un imminente orizzonte elettorale. Per Sarko il cadavere di Gheddafi era il trofeo da presentare agli elettori per garantirsi la rielezione alle presidenziali del 2012. Per lo sbiadito Hollande la salvezza dei cristiani dell'ex colonia è l'ultimo, disperato tentativo di salvarsi dalle grinfie di una Marine Le Pen pronta a trasformare il voto europeo di maggio in una Waterloo socialista. I sondaggi parlano chiaro. Il presidente socialista - salutato subito dopo l'elezione come il Messia di tutte le forze della sinistra europea - può contare oggi su un indice di popolarità di poco superiore al 15 per cento. Si muove insomma tra le pieghe di un abisso mai toccato da nessun predecessore.

Neppure il compassionevole elmetto indossato nel corso di quest'avventura Centrafricana gli garantirà però una scontata resurrezione. Il presidente socialista è il primo a saperlo. E non solo perché ha conquistato l'Eliseo sconfiggendo un Sarko reduce di Libia. Per quanto lo riguarda, lo sprofondo negli indici di popolarità arriva, infatti, all'indomani di un intervento militare in Mali conclusosi con un discutibile, ma innegabile successo. Dunque se le vittorie africane non servono a conquistar consensi perché imbarcarsi in un'altra avventura militare ricca, come ogni operazione bellica, d'imprevedibili incognite? Semplicemente perché Hollande - come ogni presidente francese che si rispetti - è condannato all'inevitabile ruolo di gendarme del Continente Nero. Per quanto continui a rivendicare di fronte alla sua gauche il merito d'aver «ripulito» d'ogni clausola segreta gli accordi stretti dai predecessori con i regimi africani, Hollande resta un francese. Per lui come per Sarko, Chirac e Mitterrand le ex-colonie del Continente Nero continuano a rappresentare non solo una valenza economica o politica, ma un'autentica raison d'être. Una ragion d'essere alla quale, come dimostrano le circa cinquanta operazioni messe a segno sul suolo africano dal 1960 a oggi, nessun autentico presidente può sottrarsi.

L'intervento in Centrafrica non basterà insomma a risollevare le sorti di Hollande e compagni alle prossime europee, ma resta la condizione indispensabile per non trasformare la presumibile sconfitta in una resa annunciata e scontata.

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