E New York per un giorno dimentica la violenza

E New York per un giorno dimentica la violenza

Tutti conoscono il detto: un cane che morde un bambino non è una notizia, un bambino che morde un cane è una notizia. Ebbene, possiamo fare progressi su questa strada. Ieri a New York si sono registrati undici omicidi, cinquanta furti con scasso e due rapine non è una notizia, mentre ieri a New York per la prima volta nella sua storia secolare, non è successo assolutamente nulla. Voi direte: è una notizia? Certo che lo è. New York è associata da sempre a un alto tasso di violenza ed è molto tempo che la violenza va scemando anziché aumentare. Dunque il record di ieri, un'intera giornata senza un colpo di pistola o una vetrina fracassata, ha un suo trend, o come si dice orrendamente oggi un suo perché.
Certo, può anche darsi che il tifone, l'uragano di Halloween abbia la sua responsabilità in quest'ondata di buonismo, nel senso che i cittadini della grande mela hanno tanto da fare per ricostruire le loro case da non aver tempo per dedicarsi ad attività illegali. Ma siamo sempre più lontani dal modello Guerrieri della Notte che ha imperversato cinematograficamente sull'immagine di Manhattan, del Bronx e di Harlem.
E a proposito di Harlem, ricordo che quando ero un giornalista della Stampa residente a New York un giorno un redattore capo italiano mi disse: «Stanotte vai ad Harlem, portati un fotografo e documenta l'inferno del ghetto nero, gli scontri, gli inseguimenti, le rapine e gli omicidi. Non riuscii a convincerlo che l'Harlem che aveva in testa era quella dei libri e dei film di mezzo secolo fa, ma fu irremovibile. Così andai ad Harlem dove i pacifici cittadini dormivano il sonno dei giusti, salvo quelli che si stavano divertendo nei pub o nelle sale da ballo. Harlem oggi è una città liberty prevalentemente in villini di mattoni rossi, non è soltanto nera e non vi accade nulla di speciale rispetto a quel che accade sotto la centesima strada.
Così convinsi il mio giornale a lasciarmi scegliere una zona veramente pericolosa e andammo un una zona del Bronx dove si sparavano volentieri fra dominicani e salvadoregni. A New York le guerre per bande sono guerre etniche fra emigrati di tutti i paesi del mondo e una volta si vedevano guerre interminabili fra italiani e neri, irlandesi e italiani, tedeschi e russi, ebrei e irlandesi e così via. Quando andammo nel piccolo distretto della guerra fra dominicani e salvadoregni, io e un amico cameramen, trovammo seduto sul ciglio del marciapiede e in attesa di un'ambulanza un vecchio dominicano che si era preso ben sette revolverate e si rifiutava di stendersi a terra. Aveva l'aria meditabonda e sanguinava come una fontana.
Ma il vero spettacolo fu quello di Rudolph Giuliani e la sua linea intransigente di «zero tolerance», tolleranza zero. In Italia facevano credere che questa tolleranza zero fosse l'equivalente di uno stato di polizia, invece fu una cosa pacifica e intelligentissima. Le macchine della polizia e degli assistenti sociali, insieme, si parcheggiavano ai limiti delle aree criminali e trattavano, parlavano, davano assicurazioni e aiutavano. Chi accettava il programma vedeva cancellati i suoi peccati giudiziari e ricominciava da zero. Gli spacciatori accettarono, prostitute se ne andarono, i negozi a luci rosse chiusero e il valore del real estate, degli immobili, schizzò in alto per milioni di dollari. Improvvisamente migliaia di persone che vivevano di stenti si ritrovarono milionarie, le aree furono bonificate, furono aperte scuole pubbliche eccellenti e la malavita, la violenza, regredirono. Quando parlavo di questo con amici italiani si mettevano a ridere sarcasticamente ostinandosi a credere che la tolleranza zero fosse una variante del nazismo, e invece fu soltanto una grande trovata del «sindaco d'America» come lo definì Time Magazine dedicandogli la copertina dopo l'11 Settembre, quando Giuliani si gettò fra le macerie lavorando più di tutti, dirigendo, confortando, organizzando e dando insieme uno spettacolo di grandissima umanità e di tecnica amministrativa eccezionale.
E l'attuale sindaco di New York il miliardario Bloomberg, magnate televisivo e politico, sta facendo un analogo lavoro di conquista civile della città. È un sindaco amatissimo quasi quanto lo è stato Giuliani e ha affrontato con grande prontezza l'uragano, è stato continuamente sul canale cittadino della televisione e dava consigli pratici: «Cari amici, adesso voi vi fate un bel panino, abbassate le tapparelle, chiudete bene tute le porte, se va via la luce non vi impressionate ma finché c'è la luce leggetevi un buon libro, e anche due». Ha infuso la calma, ha organizzato magnificamente i soccorsi, le ambulanze, i punti di ritrovo e di primo intervento, fatto funzionare i pronto soccorso, fornito gruppi elettrogeni e infuso nella catastrofe il massimo di fiducia che si poteva infondere.
Dunque, ripartendo dal cane che morde il bambini, si direbbe che New York è stata sottoposta ad una lunga, intensa cura di riabilitazione, di fiducia e di organizzazione, senza ricorrere a metodi draconiani, ma usando la civiltà, l'autorevolezza, il dialogo. C'è un dettaglio: la corte, il tribunale, a New York siede in permanenza ventiquattro ore su ventiquattro. Arrestano un rapinatore alle quattro e alle cinque è davanti al suo giudice, in genere patteggia e va in galera a scontare la pena minima. Ma la giustizia funziona come un servizio pubblico, come gli ospedali e persino come le scuole pubbliche delle zone meno ricche, che crescono in qualità e competono come quelle dei quartieri alti dal costo milionario.

Dunque, sì, il bambino che morde il cane solo in apparenza è una notizia stravagante, perché in realtà il laboratorio umano fra Hudson e mare aperto che si chiama New York City sa sorprendere se stesso così come sorprende tutto il mondo.

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