La sensazione è nuova in Egitto: per la prima volta gli elettori in coda ai seggi non conoscono in anticipo il risultato del voto. Ieri e oggi il Paese sceglie il successore di Hosni Mubarak. Le incognite sono innumerevoli e a tratti preoccupanti: un consolidarsi del potere islamista- dopo la vittoria dei gruppi religiosi alle parlamentari di novembre - il ritorno dei vecchi volti dell’era del regime, uno scontro istituzionale tra presidente, Assemblea nazionale, militari al potere su quali saranno i poteri costituzionali del nuovo rais e quali le libertà dell’esercito.
Al Cairo, davanti ai seggi, le code sono lunghe: sono 50 milioni gli egiziani chiamati al voto. E sarebbero più di dieci le persone rimaste ferite per ressa alle sedi elettorali. Accanto all’entusiasmo,c’è in queste ore anche un sentimento di incertezza sul futuro. Davanti ai seggi, i soldati in mimetica ricordano che basta poco in questi mesi perché il Paese piombi nella violenza. Ieri, un poliziotto è stato ucciso al Cairo, facendo temere per la stabilità del voto.
Soltanto poche ore dopo si è capito che la sua morte non era legata alle elezioni.
Aliaa, 21 anni, ha appena votato per Amr Mussa, l’ex ministro degli Esteri di Mubarak. Dell’esercito là fuori dice di non voler parlare. A pochi passi dal seggio, nel quartiere popolare di Mounira, su un muro c’è un graffito: la scritta«generale»vicino a una svastica. Durante la rivoluzione, la neutralità dei soldati aveva reso i militari eroi. «Esercito e popolo, una mano sola», è scritto ancora ovunque sui muri. Con il passare dei mesi, la giunta militare si è alienata l’appoggio popolare con arresti arbitrari, l’utilizzo di tribunali militari per processi civili, il ritorno di violenze e instabilità.L’impressione tra gli egiziani è che i generali, che hanno promesso di tornarenellecasermeil1 ˚ luglio, voglianoinvece rimanere al potere. A meno che non vinca Ahmed Shafik- ex premier di Mubarak, generale in pensione e vicino alle divise - uno dei primi problemi che dovrà affrontare il prossimo presidente sarà il difficile equilibrio con uno dei più profondi poteri del Paese. Nei giorni scorsi, l’esercito e i partiti hanno posticipato i colloqui sulla definizione del ruolo del nuovo presidente.
Mentre l’Egitto vota,nessuno sa ancora quali saranno i poteri reali del prossimo rais. Il Paese, infatti, non ha ancora una Costituzione. Esiste soltanto una dichiarazione costituzionale preparata dai militari e approvata da un referendum a marzo 2011. Mubarak aveva il potere di nominare le alte cariche militari e supervisionare il budget della difesa, un segreto ben celato. Queste elezioni potrebbero portare a palazzo per la prima volta un presidente senza uniforme. E l’esercito non ha intenzione di consegnare certe prerogative a un civile.
I Fratelli musulmani, sebbene sappiano di non poter andare allo scontro con i militari, hanno detto che in caso di vittoria «non permetteranno all’esercito di svolgere ruoli politici». I generali sembrano però intenzionati a mantenere un robusto controllo sui meccanismi istituzionali e politici e sui loro privilegi. «Dalla dichiarazione costituzionale si capisce che vogliono mantenere una presa sul potere», spiega Amr Adly, ricercatore dell’Egyptian Initiative for Personal Rights. L’esercito inoltre nei decenni ha costruito un impero di cui nessuno conosce i dettagli: c’è chi parla di un terzo dell’economia nazionale. Oggi non sembra ipotizzabile che il prossimo rais possa attaccare questo potere.
«Il nuovo presidente non entrerà in collisione diretta con i militari. Il ridimensionamento del ruolo dell’esercito avverrà sul lungo periodo: almeno dieci anni», spiega Hisham Kassem, editore indipendente ed esperto di politica egiziana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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