Erdogan ora cerca il compromesso

Erdogan ora cerca il compromesso

Al quinto giorno di manifestazioni in tutto il Paese e perfino nella Cipro turca, alla notizia del terzo morto nelle manifestazioni di piazza e mentre stava per cominciare uno sciopero di due giorni nel pubblico impiego, il governo turco, almeno a parole, si piega e cerca un compromesso. In assenza del premier e grande accusato Recep Tayyip Erdogan, in visita ufficiale in Algeria, il suo vice Bulent Arinc ha convocato una conferenza stampa e ha assicurato che «l'esecutivo ha imparato la lezione: non abbiamo il diritto e non possiamo permetterci di ignorare la gente». Traspare però dalle parole del vice di Erdogan l'intenzione di dividere il fronte dei manifestanti in buoni e cattivi, in accettabili e inaccettabili: i secondi essendo quelli che, così argomentano i capi del partito islamico al potere, avrebbero intenzione di sovvertire l'ordine democratico strumentalizzando le legittime rivendicazioni dei primi.
Mentre le violenze sembrano ridursi e perdura l'impressionante silenzio dei militari, storicamente custodi della laicità dello Stato rifondato da Kemal Atatürk, Arinc ha svolto un'autocritica severa, quella che il leader dell'opposizione nazionalista Devlet Bahceli chiedeva a gran voce a Erdogan, accusato di «star diventando un dittatore» e che a suo dire avrebbe dovuto immediatamente rientrare da Algeri. Erdogan si è ben guardato dal tornare ad Ankara, ma Arinc si è scusato a nome dell'esecutivo (e quindi anche del premier) «con quanti hanno subito violenze a causa della loro sensibilità per l'ambiente». Il riferimento era a quanti, all'inizio di queste giornate di disordini dilagate in tutta la Turchia, avevano preso le strade di Istanbul per protestare contro il progetto di distruggere il famoso parco di Gezi, un'oasi di verde nel cuore della città al posto della quale dovrebbe sorgere un centro commerciale con annessa moschea.
«Le proteste sono legittime e giuste» ha ammesso Arinc, che nega però che Erdogan intenda procedere a un'islamizzazione strisciante della società turca: «Noi rispettiamo e siamo sensibili a ogni stile di vita», ha assicurato e dunque «ci aspettiamo che tutti i sindacati, i partiti politici e chiunque ami la Turchia interrompa oggi stesso le proteste». In cambio, oggi Arinc incontrerà una delegazione dei manifestanti.
Al tempo stesso, il ministero dell'Interno ha minacciosamente avvertito che investigherà «ogni singolo dettaglio dei disordini di questi giorni in piazza Taksim», che secondo il governo hanno fatto danni per quasi 30 milioni di euro. Cifre da prendere con le molle, considerando che secondo il governo il bilancio dei civili feriti nella rivolta non supera le 60 unità, mentre l'associazione dei medici turchi parla di 2500 solo a Istanbul e Ankara. Dati che hanno spinto il nostro ministro degli Esteri Emma Bonino a esprimere «forte apprensione» per la situazione in Turchia e a criticare «l'uso sproporzionato della forza da parte della polizia».
In tutto ciò, la prospettiva di ingresso della Turchia nell'Ue non sembra risentire della dura repressione imposta nelle piazze del Paese candidato in questi giorni.

Da Bruxelles la Commissione Europea conferma infatti l'intenzione di aprire entro questo mese un nuovo capitolo dei negoziati per l'adesione. Scelta che in Italia lascia perplesso soprattutto il Pd, per il quale il nostro governo «deve far valere il principio della libertà di espressione».

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