Freddato dopo l’assedio «Era una belva furiosa» Bufera sugli errori del blitz

Freddato dopo l’assedio «Era una belva furiosa» Bufera sugli errori del blitz

L’assedio è durato trentadue ore. Ore infinite di mediazioni fallite, e promesse di resa mai mantenute. Ha creduto di farcela Mohammed Merah, fino alla fine, nonostante l’esercito arrivato per catturarlo. Hanno aspettato gli uomini del reparto speciale prima di intervenire, hanno cercato in tutti i modi di non usare la forza, di convincerlo, di stanarlo. L’ordine era arrivato direttamente da Sarkozy: «Lo voglio vivo. Deve essere processato», aveva chiesto. Ma Merah sperava di poter fuggire. Quando gli agenti hanno fatto irruzione nell’appartamento lui, il killer dello scooter, l’estremista franco-algerino che ha ucciso sette persone, si è lanciato dal balcone e si è scatenato il finimondo. «Era una bestia furiosa, ci sparava addosso, era pieno di armi» ha detto un poliziotto. È morto colpito da una pallottola in testa sparata da un cecchino. Una notte inframmezzata da esplosioni «intimidatorie» per fiaccare le resistenza psicologiche del killer. L’azione è iniziata alle 10.30, con il lancio di granate accecanti e di gas paralizzanti; poi una lunga pausa di silenzio. È a questo punto che le teste di cuoio sono entrate. Il caso che ha tenuto la Francia con il fiato sospeso era iniziato nel sangue e si è concluso nel sangue. E lui, Mohamed Merah, è riuscito nel suo intento, «morire con le armi in mano», nella folle speranza di poter «andare in Paradiso». Cinque poliziotti sono rimasti feriti. Merah, che indossava un giubbotto anti-proiettile, è riuscito a sparare una trentina di colpi con una Colt.45. Gli agenti del Raid avevano l’ordine di fare tutto il possibile per catturarlo vivo e hanno sparato «per legittima difesa».
La Francia ora deve fare i conti. Il terrorismo, le cellule di al Qaida, e soprattutto le falle di un sistema che ha lasciato agire indisturbato un tipo come Merah, già schedato e noto agli uomini dell’antiterrorismo. Secondo il Wall Street Journal, l’uomo era stato incluso nella lista nera del governo statunitense dopo essere stato arrestato nel 2010 in Afghanistan e rimandato in Francia. «Merah non è un pazzo, è un mostro. Cercare una spiegazione al gesto di questo fanatico, cercare la più piccola scusa sarebbe un errore morale imperdonabile». Ha detto Sarkozy. Dopo la paura la rabbia. «La Francia non è colpevole», ha detto. «Il nostro Paese non è razzista, nè antisemita». E per dimostrarlo ha già preannunciato che il governo sarà «implacabile contro l’indottrinamento all’odio, saranno perseguiti penalmente tutti coloro che consulteranno siti web che fanno apologia del terrorismo. Ora il Paese è sotto choc, si sente tradito da quell’assedio infinito. I francesi si aspettavano di vedere il ricercato numero uno parlare, confessare, almeno pagare per le vite che ha distrutto, per i bambini ammazzati. Come è possibile che quell’esercito di uomini del reparto speciale, dopo 30 ore non siano riusciti a consegnarlo alla giustizia? Perché le granate accecanti, assordanti, paralizzanti non hanno impedito la fuga e quindi l’uccisione dell’uomo? «Qualcosa è andata storta» - spiega Jean-Dominique Merchet, specialista di questioni militari. «Come è possibile che un uomo conosciuto dai servizi di polizia abbia potuto agire in questo modo?» ha chiesto tra le lacrime il padre di uno dei parà uccisi.
Restano i video, l’assassino aveva filmato tutti e tre i suoi attacchi. «Tu uccidi i miei fratelli e io ti uccido», ha gridato Mohammed mentre l’11 marzo uccideva la sua prima vittima, un soldato di Tolosa. Il procuratore Molins ha parlato di «scene molto esplicite». «Lo si vede abbattere i militari di Montauban in una scena estremamente violenta» e fuggire poi sul suo scooter mentre grida: «Allah Akbar» (Dio è grande).

Il procuratore non ha voluto riferire dettagli del terzo attacco, quello di lunedì alla scuola ebraica, dove si vedono la morte del rabbino e dei suoi due piccoli. Poi è la volta di Miriam, otto anni. Rincorsa fin dentro la scuola.

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