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La furbata di Merkel: affari col regime cinese e mostre di dissidenti

Berlino firma accordi da miliardi col leader Xi. E appena è ripartito dà il via all'esposizione delle opere di Ai Weiwei

La furbata di Merkel: affari col regime cinese e mostre di dissidenti

Berlino - Investimenti diretti e diritti umani. È questa la difficile combinazione alla quale ha puntato la cancelleria tedesca Angela Merkel ospitando a Berlino a fine marzo il presidente cinese Xi Jinping. Impegnato nella sua prima e lunga visita in Europa, proprio a Berlino Xi ha siglato due accordi di grande portata. Il primo è una joint-venture da un miliardo di euro fra la Daimler e la cinese Brilliance per la produzioni di autovetture nel Celeste impero. Il secondo, più innovativo, è un accordo fra la Bundesbank e la Banca popolare cinese che farà di Francoforte il primo hub europeo per regolare gli scambi in yuan. La progressiva internazionalizzazione della divisa cinese passerà dunque dalle sponde del Meno. L'intesa è stata integrata da un accordo fra l'istituto centrale cinese e la Borsa di Francoforte per facilitare l'accesso di investitori cinesi al mercato europeo dei capitali.

Nessuna sorpresa fra gli esperti del settore: The Economist ricorda che la Repubblica Popolare è il secondo investitore non europeo in Germania e presto sarà il primo visto che «gli investimenti cinesi quadruplicheranno entro il 2020 a quota due miliardi di dollari». Fra scambi commerciali, investimenti diretti, nuovi collegamenti aerei e corridoi ferroviari, il rapporto bilaterale è intensissimo e «lo scambio di merci fra Pechino e Berlino rappresenta da solo un terzo di quello complessivo fra la Cina e l'Unione Europea».

Il rapporto è proficuo per entrambe le parti. I dirigenti-imprenditori cinesi importano know-how e innovazione; inoltre si assicurano il consenso dei ricchi di casa ammaliati dai marchi Audi, Bmw, Mercedes e Porsche. Gi acquisti cinesi di intere Pmi tedesche (il «Mittelstand») permettono a queste ultime di acquisire capitali freschi e risolvere il problema della successione: i figli dei «cumenda» teutonici non sono sempre interessati a portare avanti la tradizione di famiglia. Fra aziende tedesche e sino-tedesche si calcola che entro il 2020 la Cina diventerà la prima meta dell'export tedesco, superando Francia e Italia.

Peccato però che la Cina resti un Paese autoritario dove vige il pensiero unico, dove le minoranze etniche, politiche o religiose non hanno diritto di parola e dove la pena di morte è somministrata con grande generosità. Cresciuta sotto la cappa opprimente della Repubblica democratica tedesca, Angela Merkel non poteva non sollevare il capitolo diritti umani con l'importante ospite asiatico. Lo stesso presidente federale Joachim Gauck, ex dissidente della Ddr, ha ricordato per primo a Xi che «nessuno Stato può esistere senza la fiducia dei propri cittadini». Con un tempismo un po' curioso, prima gli affari e poi i diritti, il 3 aprile, pochi giorni dopo il ritorno di Xi a Pechino, Berlino ha inaugurato «Evidence» una gigantesca mostra di Ai Weiwei, l'artista cinese personificazione stessa della dissidenza. Proporzionati alle dimensioni del'interscambio gli spazi concessi: tremila metri quadri su 18 stanze del centralissimo museo Martin-Gropius Bau, la cui stessa corte interna è diventa uno spazio in più per una mostra tutta politica.

Da Berlino Ai ha attaccato il regime a 360 gradi: ha ricostruito la cella nella quale è stato accusato di peculato in assenza di prove («Evidence» in inglese); ha scolpito manette di giada e ammassato computer per ricordare la repressione; ha riprodotto maschere antigas e ricostruito macerie di marmo puntando il dito sia contro il disastro ecologico cinese sia contro gli scarsi soccorsi per il terremoto del Sichuan che ha ucciso migliaia di bambini. Infine ha metallizzato vasi del Neolitico, accusando i dirigenti di dimenticare tanta tradizione nazionale. Opere solo formalmente astratte che non lasciano spazio all'immaginazione. La circostanza più strana, però, è che l'artista vive guardato a vista in Cina e neppure Merkel ha convinto Xi a fargli avere un passaporto. Com'è possibile allora che gli sia stato permesso di allestire un così grande processo artistico contro il regime cinese? «Per i dirigenti di Pechino è importante che Ai Weiwei non si faccia sentire in patria», hanno spiegato i curatori. Fuori gli è permesso lavorare.

Una foglia di fico piccola piccola sopra a un affare che vale 140 miliardi di euro.

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