Sotto il cielo la confusione è grande, ma la situazione - seppur non eccellente - è leggermente migliore. La parafrasi richiama Mao, ma l'intuizione è del Santo Padre. Nel messaggio Urbi et Orbi lanciato a Natale da Benedetto XVI c'è la chiave di imminenti ed auspicabili sviluppi della più drammatica crisi mediorientale. «Ancora una volta faccio appello dice il Pontefice - perché cessi lo spargimento di sangue si facilitino i soccorsi ai profughi e agli sfollati e, tramite il dialogo, si persegua una soluzione politica al conflitto». Non è un semplice auspicio. È un invito (ricordando la strage che continua: solo ieri altri 100 morti, fra cui 27 bambini) a continuare la difficile mediazione sostenuta dalla Russia e portata avanti dall'inviato dell'Onu Lakhdar Brahimi. Una mediazione che grazie al sostegno della Russia, la disponibilità dell'Iran, le diffidenze statunitensi nei confronti di un'opposizione armata controllata dai gruppi jihadisti può far uscire dallo stallo il conflitto e facilitare il dialogo e la «soluzione politica» auspicati dal Santo Padre. Il tutto ovviamente in un quadro che rimane di grande confusione.
L'opposizione armata amplifica in queste ore la notizia della defezione del generale Abdul-Aziz Jassem al-Shallal, l'ex-comandante della polizia militare di Damasco comparso sugli schermi della tv satellitare Al Arabiya per denunciare il regime e accusarlo di utilizzare armamenti chimici nella zona di Homs. In questo caso le dichiarazioni sono più importanti del disertore. Pur essendo il militare di più alto rango tra gli attuali fuoriusciti, il generale al-Shallal non basta da solo a cambiare il corso del conflitto. Le sue parole sull'utilizzo di armi chimiche rischiano invece di diventare il pretesto per un intervento internazionale contro Assad. Anche perché Barack Obama ha sempre detto di considerare l'utilizzo di armi non convenzionali un'invalicabile soglia rossa. Bisogna però fare i conti con la propaganda. La puntuale denuncia del generale Shallal è per ora contraddetta da Israele, ovvero da uno dei principali nemici del regime di Assad. «Al momento attuale non abbiamo prove sull'utilizzo di armi chimiche», sottolinea il vicepremier israeliano Moshe Yaalon aggiungendo che l'opposizione siriana «ha tutto l'interesse a innescare un intervento militare internazionale».
Più importante di voci e defezioni è l'intensa attività diplomatica incentrata sul cosiddetto piano turco-russo messo a punto durante la visita di Vladimir Putin a Istanbul del 3 dicembre. Il piano sembra prevedere l'uscita di scena di Bashar Assad e il passaggio dei poteri ad un organismo di transizione in cui troverebbero posto esponenti del regime, rappresentanti politici dei gruppi armati ed alcuni leader della tradizionale opposizione laica. Le recenti dichiarazioni con cui Putin ha detto di favorire «l'emergere di un sistema democratico basato sulle aspirazioni dei siriani» e ha invocato il ritorno a Damasco dell'inviato dell'Onu Brahimi sarebbero state, secondo alcune fonti, il segnale della svolta. Brahimi oltre ad incontrare Bashar Assad e gli esponenti del regime più aperti al dialogo avrebbe sondato anche fonti dell'opposizione interna siriana per poi discuterne sabato a Mosca con i vertici del Cremlino.
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