Parigi«Giudicatemi alla fine del quinquennato». L'annuncio del cambiamento «adesso», lo slogan con cui François Hollande ha conquistato l'Eliseo nel 2012, è stato seppellito dal suo stesso promotore. Ieri, a due anni di distanza dal trionfo della Bastiglia, il presidente della Repubblica si è presentato in tv per spiegare come intende rilanciare l'economia francese; dopo aver toccato i minimi storici nei sondaggi e dopo un cambio di governo in corsa. Lo ha fatto partendo da precise ammissioni di colpa: la Francia ha «sfiorato il fallimento», ha detto rispondendo a un'imprenditrice. Ha ammesso la disfatta, Hollande, non solo elettorale ma pure dei conti dello Stato. Quelli pubblici mai risanati del tutto per cui ancora oggi Bruxelles è scettica sull'uscita della Francia dalla crisi nel breve periodo. Lo ha fatto anche insistendo sulla necessità di attuare riforme finora solo annunciate a parte quella sulle unioni omosessuali, poche sono arrivate in Parlamento, dove altre si sono arenate. Vedi quella del cumulo del mandati, profondamente rivista rispetto agli annunci del 2012, per il forte contrasto sia della destra Ump sia di molti esponenti socialisti.
Oggi il pacchetto di riforme, riassunto in un piano di rilancio da 50 miliardi, è affidato al timoniere Manuel Valls, premier dopo gli anni di Ayrault a Matignon. Scelta che ha fatto registrare subito la distanza tra una parte consistente del partito e la nuova leadership di Valls, bilanciata parzialmente da un'altra «sostituzione», quella del segretario socialista: oggi è Jean-Christophe Cambadélis a indossare la casacca di segretario, ma Hollande fa da mediatore tra il partito e il governo: il titolare dell'Eliseo ieri ha spiegato che se i francesi chiedono che si vada più velocemente e più forte, «ne devo tenere conto», giustificando il rimpasto, di governo e di «partito», che deve ancora portare i suoi frutti.
Si comincia con l'annuncio di far scendere il deficit del Paese sotto il 3% del Pil nel 2015, cifra che doveva essere avvicinata, se non raggiunta già nel 2013. Così aveva detto Hollande. Oggi, consapevole di aver portato l'asta delle previsioni di crescita troppo in alto, dice invece che la politica proposta da due anni aveva soltanto un obiettivo, preparare la Francia a un'inversione congiunturale. A funzionare meno è stato soprattutto il settore del lavoro, a partire dagli sgravi alle aziende. La sinistra lo ha accusato in questi due anni di essere stato il candidato socialdemocratico all'Eliseo ed essersi trasformato in un liberale a tutti gli effetti. Anche per superare le critiche di liberalismo spinto, provenienti da sinistra (anche quella del partito socialista, non solo dell'ormai ex alleato in Parlamento Front de gauche) l'Eliseo in questi ultimi giorni ha fatto sentire il peso dello Stato nella lotta tra General Electric e Siemens per rilevare le attività del gruppo francese Alstom, leader nel settore energetico.
Ieri, in tv, Hollande ha detto che l'offerta dell'americana General Electric per Alstom «non è ad oggi sufficiente, quindi non è accettabile», auspicando che un'eventuale cessione delle attività nell'energia sia «buona per Alstom, buona per l'industria francese e buona per la diversificazione energetica». Nella trattativa, ha aggiunto Hollande, «il ruolo dello Stato è di ottenere delle risposte e fare in modo che l'interesse nazionale sia preservato», intervento giustificato dal fatto che Alstom, anche se privata, beneficia ampiamente degli ordini del settore pubblico. Un punto a favore per il «nuovo» Hollande, il presidente che ammette un parziale disastro di governo, ma che non rinuncia a mediare. Decide ancora lui la linea da adottare almeno in casa socialista. Prendendo in prestito alcune idee della destra neogollista in materia di lavoro.
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