Staccare la spina. È l'ordine delle giustizia americana, che finisce per schierarsi dalla parte della famiglia di Marlise Munoz, la donna incinta e cerebralmente morta, ricoverata in un ospedale del Texas, uno degli Stati in cui è tuttavia vietato sospendere le cure a una donna in attesa di un bimbo. Il giudice R. H. Wallace ha ordinato all'ospedale John Peter Smith di dichiarare la donna morta e di rimuovere la macchina che la tiene in vita. Munoz è attaccata alle macchine dal 26 novembre quando, incinta di 14 settimane, si è accasciata sul pavimento della cucina di casa senza più risvegliarsi a causa di un embolo ai polmoni. La famiglia ha chiesto di staccare la spina, scontrandosi con il personale sanitario.
La storia di Munoz ha spaccato l'America e riaperto un dibattito bioetico. Una vicenda, quella di Munoz, che per alcuni versi ricorda quella italiana recente di Carolina Sepe, che ha partorito dopo quattro mesi di coma vegetativo, vittima di uno sparo alla testa in una lite e che è morta il 4 gennaio all'ospedale Cardarelli di Napoli. Ma anche un caso Terri Schiavo alla rovescia che divide l'opinione pubblica, come la recente polemica su Jahi McMath, una tredicenne dichiarata cerebralmente morta dopo un intervento banale alle tonsille: il suo cuore batte ancora, ma i genitori non si sono rassegnati e l'hanno fatta trasportata in una struttura dove il suo corpo possa continuare a vivere in parallelo alla loro speranza che non vuole morire.
Diverso il caso Munoz.
Sono 31 negli Usa gli stati che limitano il potere di staccare la spina a donne incinte malate terminali a prescindere dai desideri della paziente o della famiglia.
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