Violente proteste anti-giapponesi sono scoppiate ieri in diverse città della Cina popolare dopo che un gruppo di attivisti giapponesi erano sbarcati all'alba sulle contese isole del Mar Cinese orientale che i giapponesi chiamano Senkaku e i cinesi Diaoyu.
Il blitz ha eluso il controllo delle autorità giapponesi che pattugliano al largo delle isole, perché da una flottiglia di barche con a bordo 150 attivisti - legati a formazioni nazionaliste - se ne sono gettati in mare una decina che hanno raggiunto a nuoto le rocce di un'isola piantando e facendo sventolare le bandiere del Sol Levante. La guardia costiera giapponese, cui compete l'amministrazione delle isole e che dapprima aveva negato il permesso agli attivisti di visitare l'isola, ha fermato alcuni manifestanti, ma ormai la frittata era fatta. Le immagini diffuse in Cina hanno provocato dapprima la reazione irata del governo di Pechino, che ha immediatamente convocato l'ambasciatore giapponese, e poi manifestazioni di piazza in almeno otto città. A Shenzhen, città industriale alle spalle di Hong Kong, sono stati danneggiati ristoranti giapponesi e addirittura sono state distrutte auto della polizia locale «made in Japan». Nella città sud-occidentale di Chengdu sono stati presi di mira alcuni negozi e supermercati giapponesi, i consolati nipponici sono stati circondati da dimostranti con bandiere cinesi a Guangzhou e Hong Kong.
L'incidente non è un caso isolato: nel Mar Cinese orientale e meridionale ci sono diverse isole contese e da alcune settimane si sta alzando pericolosamente la tensione in tutta la regione. Le stesse isole teatro del blitz di ieri erano state «visitate» il 15 agosto da un gruppo di attivisti cinesi e taiwanesi partiti da Hong Kong. Pochi giorni prima era stato il presidente sudcoreano Lee Myung Bak a recarsi su altre isole contese - le Dokdo, che i giapponesi chiamano Takeshima - riaffermando minacciosamente che sono parte integrante del territorio sudcoreano (attualmente sono soltanto amministrate da Seul). E anche la Russia, per marcare l'anniversario della resa giapponese nella Seconda guerra mondiale, ha pensato bene di annunciare il 15 agosto il prossimo invio di quattro navi militari nelle Isole Kurili, che sono attualmente amministrate da Mosca ma contese da Tokyo. E ora il governo sudcoreano ha annunciato di essere pronto a difendersi da un probabile assalto dei nazionalisti giapponesi alle isole Dokdo/Takeshima nei prossimi giorni.
In realtà in tutti questi casi si tratta di isolotti e rocce disabitati che hanno un valore solo per la loro posizione strategica. Quanto alle isole Senkaku/Diaoyu si tratta di otto isolette con una superficie totale di 7 chilometri quadrati equidistanti da Cina, Taiwan e Giappone, ma attualmente amministrate da Tokyo e parte del distretto di Okinawa. Il Giappone ne ha preso il controllo nel 1895, e gli è stato riconosciuto anche con trattati successivi alla II Guerra mondiale, ma la Cina sostiene che sono parte del proprio territorio fin dai tempi antichi. Probabilmente nessuno avrebbe detto nulla se dagli anni '70 non fosse diventato appetibile il petrolio nascosto nei fondali circostanti. Ed è proprio la ricchezza delle risorse e dei risvolti commerciali che fa diventare incandescenti le questioni della sovranità territoriale su queste isole. E lo stesso discorso vale per i due arcipelaghi nel Mar Cinese meridionale, le isole Spratleys e le isole Paracelso, che Vietnam e Filippine contendono alla Cina
Il punto è che queste acque, oltre ad essere ricchissime per la pesca, sono il corridoio più importante per i traffici commerciali internazionali e sono un deposito enorme di petrolio e gas naturale. Il petrolio che passa nel Mar Cinese è il triplo di quello che attraversa il Canale di Suez e ben 15 volte di quello che transita nel Canale di Panama. E dal Mar Cinese meridionale transitano i due terzi dell'intera fornitura energetica della Corea del Sud, il 60% di quella di Giappone e Taiwan e l'80% del greggio destinato alla Cina.
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