Israele al voto dimentica la questione palestinese

Tel Aviv L'Unione europea starebbe preparando un piano dettagliato per riattivare i colloqui di pace tra israeliani e palestinesi, ha scritto pochi giorni fa la stampa israeliana. È stato forse uno dei rari accenni al processo di pace sui giornali locali nei giorni della campagna elettorale. Israele vota alle legislative domani. Sui manifesti, nei talk show serali, ai comizi i politici parlano molto di economia, problemi sociali, sicurezza, poco di come trovare una soluzione al decennale conflitto arabo-israeliano.
I numeri raccontano da tempo la rielezione certa del premier Benjamin Netanyahu. Anche se l'ultimo sondaggio pubblicato venerdì è stato il peggiore per il primo ministro nell'intera campagna, il blocco di destra da lui guidato dovrebbe conquistare 63 seggi su 120, abbastanza per ottenere il mandato di formare il governo. La sinistra ha fallito nel creare un blocco unificato contro la compattezza della destra e l'opposizione laburista dovrebbe arrivare soltanto a 17 seggi.
«Non c'è stato nessun argomento portante della campagna perché la questione è la rielezione del premier», spiega Mitchell Barak, un ex assistente di Netanyahu che lavora oggi come sondaggista. Il partito del primo ministro, il Likud, non ha neppure pubblicato una piattaforma, lo farà dopo il voto. Lo slogan elettorale di Netanyahu, che nel 2009 per la prima volta ha pubblicamente detto di sostenere la soluzione a due Stati, non parla di processo di pace, ma insiste sulla sicurezza: «Un premier forte per un Israele forte». La nuova star della politica israeliana, Naftali Bennett, a capo di un partito ultra-nazionalista religioso che ruba voti al premier, ha fatto parlare di sé all'estero per la sua decisa contrarietà alla nascita di uno Stato palestinese ma, notano gli analisti, quando si rivolge agli israeliani il 40enne imprenditore, a suo agio negli insediamenti della Cisgiordania come nella Tel Aviv più Itech, parla di problemi sociali ed educazione più che del conflitto. Soltanto il debole centro dell'ex ministro degli Esteri Tzipi Livni, con lo slogan «La speranza sconfigge la paura», ha inserito la questione palestinese in agenda. Perfino la sinistra laburista, per anni al centro degli sforzi di pace, in queste elezioni si è concentrata sull'economia, in un Paese dove il malcontento sociale per i prezzi di alimenti e abitazioni è in forte crescita e gli stipendi restano immutati. Tra gli slogan del capo dell'opposizione, l'ex giornalista Shelly Yachimovich c'è: «Bibi (Netanyahu) va bene per i ricchi. Shelly va bene per te». E ai primi posti della lista laburista ci sono due giovani leader delle contestazioni sociali del 2011, Itzik Shmuli e Stav Shaffir. «Non è vero che non si parla più di processo di pace, si parla di quello ma anche d'altro», ha detto Stav, 27 anni, al Giornale. Eppure, i numeri sono chiari: secondo un recente sondaggio, per il 43% dei probabili elettori la questione più importante in queste elezioni è l'economia. Soltanto il 16% pensa che «la deteriorazione delle relazioni con i palestinesi» sia argomento centrale. Altre rilevazioni raccontano che il 60% degli israeliani è in favore a una soluzione a due Stati. Non crede però sia realizzabile al momento. Gli attacchi terroristici sono diminuiti drasticamente, nel Paese c'è relativa sicurezza.

Dopo anni di tentativi di compromesso falliti, il pubblico israeliano è disilluso, i politici preferiscono gestire il conflitto piuttosto che risolverlo, mantenendo lo status quo, spiega Stephen Miller, il sondaggista che ha lavorato ai numeri sopra.
Twitter: @rollascolari

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